Nelle ultime due settimane, il palinsesto di Radiotre ha ospitato due programmi che più diversi non potrebbero essere. O, quantomeno, così sembrava leggendo che in uno dei due cicli, Da poeta a poeta, Edoardo Sanguineti raccontava Giovanni Pascoli, con la collaborazione di Sergio Rubini che leggeva le poesie pascoliane. E nellaltro ciclo - Voci da dentro - si raccontavano «storie, drammi, speranze nel mondo del carcere», brandelli di vita strappati al popolo dietro le sbarre dal pool di autori: Gabriella Caramore, Monica DOnofrio, Flavia Pesetti e la regista Cettina Fiaccavento.
Due proposte, si diceva, diversissime fra loro. Eterogenee alla massima potenza, come è eterogeneo tutto il panorama della programmazione della Radiotre targata Sergio Valzania. A volte, fin troppo eterogeneo, tanto da costare un po di anima e di identità alla radio.
Eppure, persino in due proposte così diverse come il Pascoli di Sanguineti-Rubini e le voci dal carcere, è possibile riuscire a trovare uno spirito unificante, un filo rosso che può aiutare a leggerle insieme. Perché - nonostante lispirazione con cui Rubini declama e gli spunti a tratti banali e a tratti genialoidi del poeta Sanguineti - le puntate su Pascoli non riescono mai a raggiungere le vette della poesia. Sempre troppo scritte, troppo impostate, troppo tutto per poter essere poetiche nel senso più pieno della parola. Servirebbe un Dino Campana, non unimpostazione da impiegati della poesia. E la colpa non è (non solo) di Sanguineti, né tantomeno di Rubini, attore non protagonista. È proprio lo spirito della trasmissione che non ha funzionato. Nonostante partisse dallidea del poeta che racconta il poeta. Sulla carta, quanto di più poetico ci sia in natura.
Discorso diametralmente opposto, invece, per le Voci da dentro con cui Radiotre ha raccolto le istanze provenienti dalle carceri italiane. Perché, in questo caso, il programma è nato con dei difetti congeniti: primo fra tutti, un sociologismo di fondo che analizzava - nelle premesse - il carcere con i parametri dei libri e del buonismo, anziché con quelli della realtà. Ad esempio, perché non affrontare davvero anche il punto di vista degli agenti di custodia, laltra metà del cielo carcerario, spesso prigionieri pure loro, ma senza aver fatto nulla di male?
Eppure, nonostante questo approccio fondamentalmente sbagliato, Voci da dentro riesce a firmare brani radiofonici straordinari.
I detenuti, raccontandolo, fanno vera poesia. Proprio perché loro non partono dallidea di fare poesia.