Illustre Professoressa De Martini, in qualità di discente la ringrazio per l'arricchimento culturale che mi consente di avere con le «lezioni» che dall'alto della Sua cattedra universitaria dispensa in maniera gratuita per il tramite delle pagine de Il Giornale.
Mi riferisco all'ultima Sua lezione, «trasmessa» a pag. 42 dal Nostro quotidiano preferito, dal titolo (sintetizzo) «Il vero significato di Simbolo».
Senza entrare nel merito di ciò che Lei ha sapientemente spiegato, attraverso scritti, tesi e definizioni, citando rispettivamente Victor Cherbuillez, Erich Fromm e Bion, (non ne sarei all'altezza), Le chiedo però di voler meglio precisare il concetto espresso con l'aggettivo «sfortunato» quando nel Suo intervento fa riferimento al giovane Carlo Giuliani piuttosto che a Fabrizio Quattrocchi.
Vede Professoressa, personalmente ritengo «sfortunato» colui che al mattino si deve alzare per andare a lavorare ed è costretto magari a fare dei lunghi tragitti e magari «obbligato» (per ragioni economiche) a prendere un mezzo pubblico di trasporto e magari durante il tragitto per una serie di tragiche coincidenze rimane vittima di un incidente del quale ad egli stesso non si può imputare colpa e/o negligenza.
E se per un attimo pensiamo a Fabrizio Quattrocchi, cittadino genovese, che per esigenze economiche è stato costretto ad abbandonare la sua Genova alla ricerca di un lavoro che (forse) questa classe dirigente non ha saputo garantirgli a casa sua, allora sì che si rende d'obbligo l'utilizzo dell'aggettivo «sfortunato».
Secondo il mio piccolo vocabolario alla voce «sfortuna» viene testualmente così riportato: «sfortuna s.f. Avversa fortuna: avere s. al gioco; concr., evento spiacevole non imputabile a colpa né a negligenza: è stata una vera s.!» e, alla voce «sfortunato» (stesso vocabolario) è così testualmente riportato: «sfortunato agg. 1. Perseguitato dalla sfortuna o dalle sventure: essere s. al gioco; una famiglia s. 2. Non confortato da un esito favorevole: un'impresa s. // Avverso, infausto: un anno s.».
Non sono d'accordo nel definire, assieme a certa parte politica, «sfortunato» un giovane che oltre ad indossare un passamontagna con il quale si copriva il volto per non farsi riconoscere durante gli scontri del G8, «indossava» (come facilmente si può notare dall'immagine) nel braccio destro anche un rotolo di nastro adesivo. Particolare questo che in ambienti militari e/o di guerriglia urbana ha/può avere un significato ben preciso.
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