Policlinici universitari, servono soluzioni serie

«L’elefante ha partorito un topolino». È il commento di Cesare Cursi, responsabile nazionale del Dipartimento Sanità di An di fronte alle stravaganti soluzioni avanzate dalla Regione sulla spesa dei Policlinici universitari, gravati dai pesanti disavanzi di gestione. Ipotizzare che - prosegue il senatore - la nomina del direttore generale avvenga a opera del presidente della Regione d'intesa con l'Ateneo, e non viceversa come attualmente avviene, è pura fantasia. Lo stesso si può dire per i primari scelti dal manager e non dal preside: alla gente poco importa chi sceglie, importano invece i requisiti morali e professionali di chi è nominato se cioè è un bravo medico o solo un raccomandato».
Insomma, è l'ennesima declinazione di buoni propositi supportati dal nulla?
«Peggio, molto peggio. Siamo vicini alla mistificazione. Le soluzioni proposte e annunciate come grandi innovazioni sono già state scritte nel protocollo d’intesa approvato nel 2002 dalla giunta Storace e dall’allora rettore D’Ascenzo. Non si fa altro che riproporre cose già scritte. Già la legge, e in particolare il Dl n. 517/1999, se fosse stato correttamente applicato, prevedeva la nomina del direttore generale da parte della Regione. Ma non è certo questa la soluzione del problema».
È comunque un passo avanti, non è d'accordo?
«Vedere che la Regione, finalmente, decide di attuare quanto abbiamo sempre detto non può che rallegrarci».
Forse i Policlinici universitari hanno bisogno di ben altro.
«Il problema è tutto qui: si continuano a pronunciare frasi a effetto ma non si affronta il vero problema e cioè il difficile rapporto tra personale sanitario universitario e regionale, cioè persone che fanno la stessa cosa ma con contratti e retribuzioni diverse».
Un bel rebus: cosa ne pensa?
«Esiste una proposta di legge del ministro Mussi, inspiegabilmente bloccata dal centrosinistra. Comunque le norme attuali, per quanto lacunose, consentono ai Policlinici universitari del Nord di raggiungere il pareggio di bilancio. Quindi la questione è un’altra. Nel caso dell'Umberto I, che presenta un disavanzo strutturale di 150 milioni l’anno, sarebbe assurdo usare come pretesto le lacune normative. Piuttosto mi chiede come mai dopo tre anni l’Umberto I non ha ancora né l'atto aziendale né la pianta organica? E poi si tagliano i servizi ma si fanno 4 nuovi dipartimenti sanitari e 3 nuovi dipartimenti amministrativi con 32 dirigenti. Queste sono le questioni a cui mi piacerebbe trovare risposte serie, non i soliti proclami».
Non si può certo dire che lei sia ottimista sul futuro.
«Mi limito a citare i dati forniti dalla stessa Regione e a ricordare a me stesso e ai cittadini la normativa voluta dal governo Prodi in materia di ripiano dei debiti della sanità.

La manovra che la giunta Marrazzo ha approntato comporterà, in caso di rispetto dei saldi preventivati (cioè se va tutto bene), un disavanzo 2008 per la sanità pari a un miliardo e 50 milioni di euro. La normativa in vigore prevede che per i cittadini del Lazio si alzeranno automaticamente le imposte fino a copertura delle perdite. Secondo lei c’è da essere ottimisti?».

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