Il Policlinico con 6mila dipendenti Vent’anni in coma da scandali

Il disastro dell’Umberto I di Roma da sempre sott’inchiesta: dai cibi precotti avariati, al trapianto negato per «carenza di personale»

I disastri dell’Umberto I sono in fila indiana. Uno dietro l’altro, anno dopo anno: tetti crollati, incendi, cibo avariato servito ai malati, pazienti diventati ciechi per infezioni prese in corsia, soldi sperperati e finanziamenti bruciati, trapianti che saltano perché non c’è personale.
Cinquantaquattro edifici, 270mila metri quadrati di ospedale, 1.300 posti letto, 52 sale operatorie e 47 laboratori. Il Policlinico più grande d’Italia ha i numeri di un’immensa fabbrica. E in fondo, alla fine, l’Umberto I a una industria ci assomiglia davvero: produce sanità, e spesso anche scandali in serie. Il degrado documentato dall’inchiesta dell’Espresso è l’ultimo capitolo di una storia di sciagure documentate da inchieste della magistratura e da altre ispezioni dei Nuclei antisofisticazione che nei padiglioni dell’Umberto I sono di casa: arrivano ciclicamente, preceduti dalla segnalazione-denuncia dei familiari di un paziente, oppure dall’ordinanza di un giudice. Di casa sono anche i vigili del fuoco che intervennero una volta nel 1981, quando l’aula magna dell’istituto malattie tropicali andò in fiamme. Si disse che poteva essere un attentato, non arrivò mai una rivendicazione. Però un mese prima nei sotterranei dell’ospedale-città erano stati trovati depositi di armi ed esplosivi. Scandalo nello scandalo: la dimostrazione che dentro il recinto dell’ospedale c’era una terra di nessuno, senza controlli e senza certezze, in un momento in cui l’allerta terrorismo in Italia era a livelli altissimi.
E nella terra di nessuno, ovviamente, ci entrava tutto. Anche i cibi avariati che solo quattro mesi prima dell’incendio portarono all’apertura di un’inchiesta della direzione sanitaria del Policlinico: i cibi precotti erano stati acquistati perché il personale delle cucine era in sciopero. Nessuno preparava, allora furono acquistati dei prodotti confezionati. Però erano avariati. Il problema fu risolto per poco: il 6 novembre 1982 un centinaio di intossicati tra medici e infermieri. Disservizi. Disfunzioni. Parole inserite qualche anno dopo in un’inchiesta della Procura di Roma: 29 persone indagate con l’accusa d’essere responsabili di una serie di reati, tra i quali l’«omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro»: secondo i magistrati le sale operatorie, gli impianti dei raggi X, gli impianti elettrici erano in condizioni tali da mettere a rischio l’incolumità di lavoratori e degenti. Era il 1985. Neppure due anni dopo, altro episodio: un padiglione del reparto chirurgia donne crollato. Nessun ferito, solo per una coincidenza fortunata.
È anche per questo che meravigliano poco le immagini di oggi dei corridoi del Policlinico con i cavi appesi e i muri scrostati: vent’anni fa la situazione era la stessa. Così quindici, dieci e otto anni fa. Ecco il 1998, uno dei punti più bassi della storia della fabbrica degli scandali. Il 23 marzo era in programma un’operazione delicata: il trapianto di polmoni a un paziente che soffriva di fibrosi cistica. Era un ragazzo giovane che aveva trovato un donatore, un altro giovane morto all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Prima che gli organi fossero espiantati, arrivò la comunicazione che a Roma non era possibile fare il trapianto: mancava il personale. Era notte e i tecnici del Policlinico romano si rifiutarono di dire sì a quella che giudicarono una ennesima richiesta di sacrificio.
Il personale è uno dei problemi perenni dell’Umberto I. I sindacati lamentano sempre la carenza di dipendenti, dicono che la struttura sia sotto organico. Nell’ospedale più grande d’Italia lavorano oltre 5.600 persone per i milletrecento e rotti posti letto. È una magrissima consolazione per i degenti che in quelle corsie raramente si sono sentiti al sicuro. E così, sempre nel 1998, tre pazienti anziani operati per una banale cataratta senile persero la vista per colpa di un’infezione. Furono contagiati all’interno del reparto di oculistica. Il coordinamento per i diritti del cittadino chiese all’allora ministro della Sanità Rosy Bindi di disporre verifiche a tappeto sulle prestazioni del Policlinico. Altra tappa dei Nas meno di un anno dopo, il 7 luglio 1999. I controlli arrivarono nell’inchiesta sui neonati colpiti dall’enterite necrotizzante. Sotto indagine dei carabinieri finirono le sale operatorie, le sale parto e le divisioni per la degenza.
Disastri dopo disastri. All’Umberto I neppure i finanziamenti sono bastati a interrompere la scia di problemi. Nella Finanziaria 2003 era previsto uno stanziamento di 219 milioni di euro in tre anni per il Policlinico romano. Gli scandali sono continuati lo stesso. Non solo disservizi e disfunzioni, stavolta. Nel 2005, l’Università La Sapienza ha nominato il nuovo direttore generale del Policlinico, in accordo con il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. È stato scelto Ubaldo Montaguti. Stipendio da 207mila euro. Era il 20 luglio.

Il 10 agosto, il Policlinico ha firmato anche un contratto di consulenza con Daniela Celin. La moglie di Montaguti. Un anno, giusto il tempo di tenere sottotraccia le polemiche, poi ecco le foto dell’inferno Umberto I. Tutto noto. Il direttore l’aveva anche detto: «Questo è un ospedale di serie C».

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