Più allarme che ottimismo, è il messaggio che arriva dai vertici della Banca centrale europea. Ieri il vicepresidente Luis de Guindos, presentando il Rapporto di stabilità finanziaria di Francoforte, ha parlato di un rischio «incidente nelle valutazioni» nelle Borse e nei mercati obbligazionari. Una minaccia di slavina che de Guindos collega ai valori elevati ai quali si aggiungono ipotesi fin troppo ottimistiche sulle prospettive economiche. Non va meglio sul mercato del debito, dove i premi per il rischio sono - a dire della Bce - troppo compressi. Ingredienti che solitamente sono terreno fertile prima delle grandi correzioni. Anche se il vice presidente della banca centrale precisa che la situazione attuale è «non confrontabile con lo scoppio della bolla dot come del 2000», dato che «i fondamentali sono diversi». Tuttavia, il Nasdaq - il listino dei titoli tecnologici americani - corre ormai ininterrottamente dal 2023 e questo è di per sé motivo di qualche apprensione da parte degli analisti della banca centrale.
L'elefante nella stanza è l'eccesso di euforia dei titoli collegati all'intelligenza artificiale: da Nvidia a Google, da Meta a Microsoft. Passando per Apple e Amazon. Quest'ultimi hanno una valutazione elevata, non a caso il numero uno di Alphabet e Google, Sundar Pichai, di recente ha spaventato i mercati di mezzo mondo affermando che se la bolla dell'intelligenza artificiale scoppiasse nessuna azienda sarebbe immune. Una considerazione alla quale si aggiunge, seppur in modo più velato, il vice presidente de Guindos: c'è «un'elevata concentrazione» con migliaia di miliardi di dollari di capitalizzazione guadagnati da poche, grandi società tecnologiche. «Una correzione dei valori delle magnifiche sette (tra le quali c'è anche Tesla, ndr) avrebbe un impatto sui portafogli istituzionali, mentre le istituzioni finanziarie non bancarie potrebbero amplificare questo incidente con conseguenze per l'intero sistema finanziario», ha sottolineato de Guindos.
Se Sparta piange, Atene non ride. Di conseguenza, un pesante rovescio sui titoli azionari ben difficilmente lascerebbe immune il mercato obbligazionario europeo. Nell'area euro, «i fondamentali di bilancio di alcuni Paesi presentano una persistente debolezza» e «uno scostamento di bilancio potrebbe mettere alla prova la fiducia degli investitori, specialmente nei Paesi con maggioranze politiche fragili». In questo caso, de Guindos non fa il nome, ma è chiaro a tutti che si riferisce in particolar modo alla Francia, dove il primo ministro Sebastien Lecornu guida un governo fragile e ostaggio di forze in parlamento che non sembrano disponibili a utilizzare troppo la cesoia per raddrizzare i conti pubblici. Se il rendimento del decennale francese, che ormai rende di più del Btp italiano di pari durata, dovesse essere colpito da una crisi speculativa gli effetti si sentirebbero in tutta Europa, con il rischio di costringere la Bce a entrare in campo: peraltro con strumenti spuntati, visto che Parigi è tuttora in procedura per deficit eccessivo. Stavolta, a quanto sembra, forse non sarebbe replicabile il whathever it takes di Mario Draghi. Una caduta dei titoli di Stato «sarebbe più difficile da assorbire»: i Paesi europei hanno venduto più debito a investitori privati, spesso fondi esteri, molto più sensibili alle variazioni di prezzo dei bond.
Non a caso, quindi, è arrivato l'avvertimento di de Guindos il quale ha spiegato tuttavia che «finora i mercati hanno accolto senza problemi livelli elevati di emissioni». Non è detto, però, che questo possa continuare a persistere in futuro, in un contesto reso più incerto dai dazi di Donald Trump.