
I falchi della Bce mettono ancora una volta le mani avanti. Neanche il tempo di digerire il settimo taglio consecutivo, l'ottavo nell'arco di 12 mesi, che l'ala dei Paesi cosiddetti frugali risintonizza la radio sulla solita frequenza, quella della prudenza a oltranza anche davanti a un contesto altamente incerto. Joachim Nagel, presidente della Bundesbank e membro del consiglio direttivo Bce, ritiene che sia arrivato il momento di fermarsi in quanto la politica monetaria è in territorio «neutrale», ossia l'attuale livello dei tassi non espande né frena l'economia. «Credo che ora possiamo prenderci il tempo necessario per esaminare la situazione. A questo livello di tassi di interesse abbiamo la massima flessibilità», sono state le parole di Nagel alla radio tedesca Deutschlandfunk.
Il numero uno della banca centrale tedesca lancia un messaggio chiaro: è tempo di prendersi una pausa, possibilmente lunga. Così come altri suoi colleghi falchi che siedono nel consiglio Bce, Nagel non è nuovo a indicazioni fortemente improntate alla prudenza. Basti pensare che a febbraio, quando i tassi erano a livello ben più alti (2,75%), dispensava consigli di «non affrettare ulteriori tagli dei tassi» spingendo per una pausa nel meeting di marzo (di contro la Bce decise un nuovo taglio) e allo stesso tempo bollando come «rischioso» basare le decisioni di politica monetaria su stime incerte di neutralità. A pochi mesi di distanza lo stesso Nagel fa invece appello alla neutralità per motivare lo stop dei tagli, nonostante la stessa Bundesbank collochi tale livello in un range abbastanza ampio (2,5-1,75%) e Christine Lagarde ha ricordato come si tratti di una diatriba fumosa. A riguardo la presidente della Bce ha spiegato che la neutralità non è stata argomento di discussione in occasione dell'ultimo consiglio. «Penso che tutti sappiamo bene che, man mano che ci avviciniamo a quella zona, dobbiamo essere particolarmente attenti», il Lagarde pensiero. C'è di più. Il tasso neutrale si basa sull'assenza di choc, mentre l'attuale ciclo di politica monetaria ne ha dovuti affrontare diversi: pandemia, guerra in Ucraina, crisi energetica. E ora l'Europa è alle prese con i delicati negoziati per evitare dazi fino al 50% sull'export di beni verso gli Usa. La stessa Bce ha calcolato i possibili forti contraccolpi dei dazi sul Pil se da qui al 9 luglio non si raggiungerà un accordo con Washington. Lagarde d'altro canto ha esplicitato che si è prossimi alla fine del ciclo di espansione monetaria e allo stato all'interno dell'Eurotower la maggioranza dei membri sarebbe propensa per lasciare i tassi al 2% nel prossimo meeting (24 luglio) e forse anche in quello di settembre.
Il mercato è convinto invece che i tassi scenderanno di almeno una ulteriore sforbiciata da 25 punti base in autunno, senza escludere altre mosse nel caso l'economia mostrasse segnali di cedimento e l'inflazione si consolidasse sotto il 2%. «È evidente che la bilancia dei rischi si stia spostando verso minore crescita economica e spinte disinflazionistiche», rimarca Martina Daga, macro economist di AcomeA Sgr.
«Il quadro diventerà più chiaro dopo la riunione del 24 luglio, che, salvo imprevisti, si prospetta interlocutoria», argomenta invece Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, che ritiene ancora plausibili dei tassi all'1,50%, ossia altri due tagli, soprattutto nel caso in cui l'euro si mantenga a livelli elevati nei prossimi mesi.