
Ma è giusto alzare le tasse alle banche in ragione del fatto che fanno troppi profitti? Intorno a questo quesito di questi tempi molti analisti e politici si sono esercitati per via della nuova manovra. Il dibattito si è concentrato sulla questione se attivare o meno una tassazione sui cosiddetti extraprofitti degli istituti. In linea generale e perciò il ragionamento vale per tutti non è mai una buona cosa quando la mano pubblica si insinua nelle tasche dei privati. Si tratta di un cedimento rispetto ai principi della cultura liberale. Detto ciò, nel caso delle banche la vicenda si complica per il semplice motivo che gli istituti di credito in più occasioni non hanno mancato di domandare il soccorso allo Stato. Che, come la storia insegna, da par suo non ha mai difettato nell'offrirsi generosamente al cospetto di turbolenze del sistema creditizio dovute a gestioni opache o quanto meno azzardate.
Di altro tenore, ma siamo comunque nell'ottica della particolare «preferenza» dello Stato verso le banche, vi è il tema delle garanzie pubbliche sui prestiti. Se durante l'emergenza Covid potevano avere un senso, non si comprende perché rimangano tuttora in vigore. Ecco allora che i richiami delle banche alla libertà di mercato, ai profitti che non si devono toccare e ad altri principi di squisita matrice liberale, vengono ad appannarsi non poco proprio perché sono esse stesse a tradirli nella misura in cui chiedono sostegno allo Stato.
E diciamo che lo fanno assai di rado nelle situazioni di oggettiva emergenza del Paese. Esercitandolo, piuttosto, nelle emergenze tutte interne al proprio modus operandi. E perciò in barba alle dinamiche mercantili che invocano solo quando è loro interesse farlo.www.pompeolocatelli.it