Pioggia di Cig sull'ex Ilva in panne che ha aggiornato a oggi la riunione apertasi ieri a Palazzo Chigi tra governo e sindacati. Dall'atteso incontro è emerso che dal 15 novembre a fine dicembre 5.700 persone saranno in cassa integrazione (dagli attuali 4.450). Dall'1 gennaio la cassa salirà ancora e riguarderà 6mila addetti. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso (nella foto) avrebbe imputato l'aumento della cassa ai lavori sulla decarbonizzazione e alla riduzione dei tempi. Un rilancio ambientale degli impianti che avverrebbe, secondo il nuovo piano, in quattro anni anzichè in otto.
Quanto all'iter di vendita, oltre ai due soggetti Usa in campo, è emerso che sarebbe in corso anche una trattativa «segreta» con un soggetto che fino a ora non è mai emerso in maniera ufficiale. Urso ha parlato di quattro soggetti potenzialmente interessati al gruppo siderurgico: ha citato ancora Baku Steel - che dopo il nuovo bando di gara non aveva ripresentato la sua offerta scelta come migliore alla tornata precedente - più i due fondi che si sono fatti avanti a settembre: Flacks Group e Bedrock, due investitori non industriali che hanno presentato piani che prevedono un forte ridimensionamento occupazionale. Senza fare ulteriori nomi, il ministro ha detto che c'è anche un altro soggetto interessato che ha avviato una trattativa fino a ora coperta dall'estremo riserbo.
È polemica, in parallelo, per le parole di Antonio Gozzi, il presidente di Federacciai, che ha definito l'Ilva «ai titoli di coda». «Dovrebbe pensare a come si costruiscono le soluzioni», ha commentato Michele De Palma, segretario generale della Fiom. «Vorrei sapere da Gozzi se va bene la proposta che abbiamo avanzato di costruire una società a maggioranza partecipata pubblica».
La riunione è stata poi sospesa e aggiornata a oggi. Il sottosegretario Alfredo Mantovano ha spiegato che è necessario un approfondimento tra governo, tecnici e commissari per meglio analizzare le questioni presentate al tavolo. In ogni caso, il piano industriale che i commissari hanno elaborato sembra appeso a un filo: prevede quattro forni elettrici, tre a Taranto e uno a Genova e altri quattro impianti per i pre-ridotti.
Il problema di dove fare il polo Dri non è risolto, perché Taranto - il sindaco Bitetti è stato chiaro - non lo vuole, ma via Veneto ha messo in cassaforte il piano B di Gioia Tauro, il cui porto è stato giudicato adatto alla costruzione dell'impianto.Si pone però un problema di fondi: la spending review imposta dalla manovra 2026 ai ministeri è calata sul dicastero dell'Ambiente con un taglio di quasi 300 milioni per la decarbonizzazione dell'ex Ilva.