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Gas, nucleare, rinnovabili: così Berlusconi pensava alla transizione energetica

Quando ancora di transizione energetica non si parlava, l'Italia dei governi Berlusconi la stava già mettendo in atto. Il sogno, non realizzato, del binomio gas-nucleare può essere messo in campo nei prossimi anni dal centrodestra?

Gas, nucleare, rinnovabili: così Berlusconi pensava alla transizione energetica

L'agenda di politica economica e politica estera di Silvio Berlusconi ha, prima e dopo i periodi del suo governo, spesso investito direttamente la sfera dell'energia. E si può dire che a inizio anni Duemila il Cavaliere, assieme ai suoi governi, fu uno dei primi leader europei ad affrontare in termini pragmatici la questione della transizione energetica. Intesa non solo come decarbonizzazione ma anche come ricerca pragmatica della sicurezza degli approvvigionamenti.

La visione di Berlusconi sull'energia

Energia a buon mercato e da fonti multiple vuol dire sicurezza per famiglie e imprese. Vuol dire bollette a basso prezzo per gli italiani e prospettive di crescita economica per il Paese. La strategia di Berlusconi da premier, in quest'ottica, anticipò nella prassi molti temi che poi i governi europei avrebbero consolidato.

Innanzitutto, il gas naturale. Berlusconi, assieme ai cancellieri tedeschi Gerhard Schroeder e Angela Merkel, fu il principale fautore della ricerca di sponde energetiche dentro e fuori i confini europei. Algeria, Libia, Azerbaijan e, soprattutto, Russia furono attenzionati da progetti economici, accordi quadro e proposte di cooperazione tra le compagnie di Stato che fruttarono al Paese una sostituzione crescente del più costoso e inquinante petrolio con l'oro blu.

La sostituzione dei consumi e l'impatto ambientale positivo

I consumi di petrolio erano pari a 88,63 milioni di tonnellate annue in Italia nel 2001, anno della seconda vittoria elettorale del Cavaliere. Sarebbero scesi a 58,65 nel 2012, primo anno successivo all'uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi dopo la fine del suo quarto governo, in calo di quasi il 34%. Nel frattempo, la sostituzione della generazione elettrica e dei rifornimenti col gas portò a un passaggio dell'oro blu nella generazione da 58,10 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) a 63,81, una crescita di poco meno del 9%.

La quota totale di energia consumata dal sistema-Paese dunque decrebbe e il consumo totale di milioni di tonnellate di petrolio equivalenti nel mix energetico nazionale, sommando oro nero e oro blu, scese da 146,73 a 122,46 con un decremento del 16,55%. Una vera e propria politica di transizione energetica che individuò nel gas naturale una risorsa ponte per un'economia a minor impatto. Tanto che nello stesso periodo si conobbe una netta decrescita delle emissioni di anidride carbonica del comparto nazionale: i dati Ispra mostrano che nella fase di più intensa sostituzione del petrolio con il gas nel mix energetico nazionale, avviata da Berlusconi e mai messa in discussione dai governi di segno opposto, le emissioni di gas climalteranti in Italia dovute a tutti i settori, dal residenziale all'industriale, sono discese da 448,18 milioni di tonnellate di anidride carbonica annue a 376,81, un -16% simmetrico al risparmio energetico da gas naturale.

La politica sul gas naturale messa a terra dall'Eni di Paolo Scaroni è stata di recente messa sotto tiro dal centrosinistra italiano e da alcuni commentatori perché avrebbe, a loro avviso, aperto la strada alla dipendenza eccessiva dell'Italia da Mosca. Il tema in quest'ottica è però fuorviante, perché da un lato i governi Berlusconi diversificarono le fonti e dall'altro ai tempi la Russia non era ancora il rivale strategico dell'Occidente, ma uno Stato con cui tutti i grandi della Terra, dalla Germania agli Usa, facevano affari.

Il sogno nucleare di Berlusconi

Inoltre, nella visione di Berlusconi, l'Eni avrebbe dovuto avere una strategia complementare a quella dell'altro colosso di Stato, l'Enel, a cui nel 2009 fu affidata la strategia di rinascita nucleare dell'Italia poi bloccata dai referendum nel 2011. Il gas e il nucleare avrebbero dovuto aiutare l'Italia a ottenere in sinergia una maggiore efficienza energetica. Come ricorda Energia Oltre, " il 23 febbraio 2009 firmò un accordo con il presidente francese Nicolas Sarkozy per la produzione di energia nucleare, nella fattispecie di tecnologia Epr (European Pressurized Reactor – reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata). Il patto venne firmato a villa Madama e venne accompagnato da due memorandum tra i due gruppi elettrici Enel ed Edf". L'alleanza per il nucleare sarebbe dunque stata destinata a svilupparsi su binari pienamente occidentali, senza coinvolgimenti diretti di Paesi come la Russia.

Solo nel 2022, col pieno ritorno al potere del centrodestra, si è potuto tornare a parlare del piano che Berlusconi aveva già messo in campo quasi quindici anni fa. E cioè quello di un mix energetico bilanciato capace di valorizzare le tecnologie nazionali da un lato e la forza delle industrie nazionali dall'altro. A cui nel frattempo il Cavaliere aveva aggiunto una spinta nel Partito Popolare Europeo per consolidare una via alla transizione energetica pragmatica e capace di rifiutare spinte anti-industriali di ogni tipo. Insomma, il Cavaliere è stato un leader politico che non ha mancato di dare una linea chiara anche sul fronte ambientale e di immaginare, in anticipo, strategie che poi altri capi di governo dentro e fuori l'Italia avrebbero preso in considerazione per l'aumento dei prezzi energetici e l'incedere della crisi climatica.

Quando ancora di transizione energetica non si parlava, l'Italia provava a metterla in atto: e solo il raggruppamento del "partito del No" in coalizione anti-Cav nel 2011 bloccò il doppio binario gas-nucleare che anche studiosi come il premio Nobel Carlo Rubbia avrebbero valorizzato come vera strategia vincente in campo energetico e avrebbe risparmiato all'Italia molte turbolenze, soprattutto negli ultimi anni.

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