I rebus dei tassi al test delle elezioni tedesche

L’instabilità politica e l’incertezza sul futuro dell’Unione europea diventano i fattori di rischio prevalenti. Di fronte ai quali il mercato chiede rendimenti più alti

I rebus dei tassi al test delle elezioni tedesche
00:00 00:00

I primi 50 giorni del 2025 sono stati segnati senz’altro dal ciclone Trump. Sia sul terreno strettamente economico, con il ritorno dei dazi; sia su quello geopolitico, con la messa in discussione dell’asse Usa-Ue. Che conseguenze possiamo immaginare per i nostri soldi?

Per rispondere alla domanda si può partire da quello che stanno esprimendo i mercati obbligazionari, vale a dire gli andamenti dei prezzi e dei rendimenti dei titoli di Stato. Ebbene, nelle ultime settimane abbiamo assistito a un paradosso: i rendimenti dei Treasury decennali americani (in dollari) sono scesi al di sotto dei livelli di fine 2024; mentre i corrispondenti titoli in euro quali i Bund (tedeschi) o i Btp sono scesi meno di quelli americani. Il paradosso è dato dal fatto che l’economia Usa cresce il doppio di quella europea (il Pil è atteso a +2,7% nel 2025 contro +1,3% dell’eurozona), presenta maggiori rischi d’inflazione e, infine, ha una banca centrale, la Fed, che ha dichiarato uno stop al taglio dei tassi d’interesse (mentre la nostra Bce è pronta ad altri tre tagli dello 0,25% di qui a metà anno). In altri termini dovremmo assistere a un andamento opposto a quello in atto, perché l’America surriscaldata necessita un freno, mentre all’Europa servirebbe un aiutino. Tradotto: in Usa i tassi dovrebbero crescere di più di quelli europei, o al limite scendere di meno. Invece ne sanno qualcosa i risparmiatori italiani che hanno puntato da tempo sul calo dei tassi portando a casa meno soddisfazioni del previsto. Dove sta l’inghippo? Perché da noi i tassi non scendono come dovrebbero?

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni in Europa ci fornisce una spiegazione molto convincente: l’instabilità politica e l’incertezza che ne deriva sul futuro dell’Unione europea diventano i fattori di rischio prevalenti. Di fronte ai quali il mercato chiede rendimenti più alti.

Prima di tutto ci sono le elezioni tedesche, in programma domenica 23 febbraio: un’affermazione dell’Afd superiore alle stime potrebbe aumentare l’instabilità o addirittura impedire la formazione di una maggioranza di governo, un po’ come sta succedendo in Austria. Ma l’ingovernabilità nella principale economia europea sarebbe un’altra cosa e farebbe senz’altro salire il rischio di ogni debito pubblico espresso in euro. Il caso tedesco si andrebbe a sommare all’instabilità francese, al momento solo sterilizzata, che rappresenta una spada di Damocle per l’eurozona. E poi c’è la crisi d’identità della Ue di fronte al rischio di fine della protezione Usa: ciò implicherebbe nuove pressioni sui debiti sovrani dell’area euro. Si pensi che portare le spese militari al solo 3% del Pil equivale un aumento delle entrate correnti del 8,8% in Spagna, del 7% in Germania e del 5% in Francia e Italia.

Insomma, non è un caso che a Francoforte si siano risvegliati i falchi della Bce,

guidati dalla tedesca Isabel Schnabel, che in un’intervista del 14 febbraio al “Financial Times” è tornata a parlare di uno stop alla discesa dei tassi. Uno scenario che, giorno dopo giorno, sta diventando più verosimile.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica