
La stabilità e la prudenza sui conti del governo italiano fanno sempre più breccia sui mercati internazionali. Ieri, infatti, per un frangente il differenziale di rendimento tra i Btp italiani decennali e i pari durata francesi è sceso sotto i dieci punti base segnando il valore più basso da vent'anni a questa parte (era il 2005). Un dato degno di nota anche perché meno di tre anni fa, vale a dire all'incirca in corrispondenza dell'insediamento del governo di Giorgia Meloni, gli investitori per acquistare il debito pubblico italiano chiedevano un premio del 2% rispetto a quanto ritenevano accettabile per il debito francese.
Oggi questa forbice, che semplificando si potrebbe definire un gap di credibilità di fronte ai mercati, è quasi completamente scomparsa. Tant'è che gli analisti tedeschi di Commerzbank, certo non sospettabili di simpatie o facili entusiasmi sul debito di Roma, sostengono che il differenziale di rendimento tra Francia e Italia sia destinato ad azzerarsi per effetto della maggiore stabilità politica del governo Meloni e del forte deficit di bilancio francese. Se questo accadesse, significherebbe un passaggio di rango quasi epocale per l'Italia dal momento che i titoli di Stato italiani non sono mai stati considerati più affidabili di quelli francesi da quando esiste l'euro.
Il motivo di questa situazione è sì da ricercarsi nel traballante governo retto da François Bayrou, sotto una presidenza di Emmanuel Macron parsa in grande difficoltà dopo la rapida caduta dell'ormai ex primo ministro Michel Barnier. Ma soprattutto è da leggersi nella dinamica del deficit molto diversa tra Roma e Parigi.
La prima, infatti, grazie alla politica della prudenza del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (nella foto) va verso una discesa del deficit al di sotto del 3% nel 2026 (un anno prima di quanto richiesto dalla Commissione europea sulla spinta di entrate tributarie e contributive aumentate di 33,8 miliardi, +8,4% tra gennaio e giugno 2025), mentre la seconda vedrà l'anno prossimo un deficit in salita al 5,7 per cento. Fatto che non è passato inosservato alle agenzie di rating.