Transizione energetica

Forchielli avverte: "Cina predominante sulle nuove tecnologie"

Alberto Forchielli, partner fondatore di Mandarin Capital Partners, avverte: la Cina è avanti sulla transizione sull'Occidente. E solo con la politica industriale si potrà rimontare

Il "martello cinese" sulla transizione energetica. Parla Alberto Forchielli

Per Alberto Forchielli il rivale numero uno per le politiche di transizione energetica dell'Occidente ha un volto chiaro, quello della Cina. Il partner fondatore di Mandarin Capital Partners e studioso di economia internazionale, esperto dell'Asia e delle sue dinamiche, parla con ilGiornale.it di come la Repubblica Popolare abbia acquisito una supremazia su molti settori e su come l'Occidente debba ridurre questa dipendenza.

Dottor Forchielli, esiste una sfida cinese in materia di transizione energetica?

"Sfida? Direi piuttosto un martello cinese intento a colpire con forza l'Occidente. Basta citare alcuni numeri per chiarire un punto: la Cina ha creato un rapporto di dipendenza per le maggiori tecnologie sulla transizione energetica. Produce la maggioranza assoluta delle turbine eoliche, il 65% delle batterie per l'alimentazione dei veicoli elettrici, circa il 90% dei pannelli solari ed è anche dominante negli inverter".

Numeri inequivocabili. E che scenari si aprono?

"Basta una constatazione: la Cina è diventata la prima nazione esportatrice di auto al mondo per la supremazia che mantiene sui veicoli elettrici. Nei prossimi anni a venire sarà destinata a dominare in profondità il mercato dell'auto elettrica. E tutto questo vale anche per le altre tecnologie decisive per mettere a terra la transizione energetica".

A cosa deve il suo successo la Cina?

"Alla capacità di poter sfruttare al massimo le prospettive aperte dalla capacità di programmare lo sviluppo pianificandola dall'alto. Lo Stato cinese, che si comporta diversamente da quanto fanno i mercati liberi, ha costruito le condizioni non solo per accelerare l'innovazione tecnologica sul fronte della transizione ma anche per espandere la domanda per le imprese. Sussidiando i settori decisivi per la transizione e investendo miliardi di dollari Pechino ha conquistato la superiorità facendo sì che grazie agli aiuti pubblici la domanda per queste tecnologie chiave per la transizione si sviluppasse e strutturasse in anticipo rispetto all'Occidente".

Tutto questo, del resto, contando su economie di scala nettamente favorevoli...

"Assolutamente. La Cina ha un vantaggio insormontabile nel campo manifatturiero rispetto all'Occidente. Il suo costo del lavoro non è più, come un tempo, un quinto di quello europeo o nordamericano ma è comunque al massimo la metà dei valori occidentali. L'industria cinese affronta costi di energia che sono un terzo dei nostri, costi dei terreni praticamente nulli. Aggiungiamo a questo il fatto che non esiste alcun fattore Nimby e ci sono le zone economiche speciali che attraggono investimenti e si capirà la differenza di scenario".

E quanto ha contribuito il lassismo dell'Occidente a tale dipendenza?

"La cosa sorprendente è che mentre questo avveniva l'Occidente stesso non cercasse di porvi un freno e anzi, spesso sulla transizione ha plasmato regole che hanno fatto sì che la dipendenza si accentuasse".

Pensiamo alla dipendenza sull'auto elettrica e le batterie, di cui ci siamo accorti tardi...

"Faccio un esempio: l'accordo tra Ford e la cinese Catl per produrre batterie elettriche in Michigan prevede che sia quest'ultima a mettere la tecnologia a disposizione della joint venture creata tra le due aziende dietro il pagamento di royalties a suo favore. Si è ribaltato il mondo, in questa prospettiva. La verità è che la Cina è predominante sulle nuove tecnologie, su cui può costruire economie di scala vantaggiose. Pur essendo indietro su tecnologie più mature e tradizionali, nei nuovi settori dove non c'è un gap tecnologico sfavorevole con l'Occidente sfruttano al massimo la capacità di espansione della domanda e il potenziale di investimento del governo. Il vantaggio di costo e quello di sfruttare al massimo la tecnologia creano le premesse per il predominio cinese".

Possiamo legare a ciò il tema delle catene del valore dei minerali critici?

"Si, assolutamente. La conseguenza di queste scelte politiche è stato il fatto che la Cina si è accorta prima di tutti che cosa volesse dire la costruzione di una filiera di approvvigionamento dei minerali critici. Nichel, litio, cobalto e via dicendo: dall'Africa all'America, e non solo, i cinesi hanno costruito filiere sicure a loro favore. Creando una dipendenza strutturale dell'Occidente che si accentua quando ci troviamo di fronte a scelte come la chiusura dell'endotermico decisa per l'auto europea dalla Commissione, criticata anche da chi non può essere sospettato di sentimenti anti-comunitari come Romano Prodi".

Alla sfida cinese ha provato a reagire Washington con l'Inflation Reduction Act dell'amministrazione Biden. Una svolta per rompere la dipendenza dalla Cina o, come dicono i critici, too little, too late?

"Più che too little, too late preferisco dire che fosse un must do. Una scelta obbligata. La via maestra per rompere la dipendenza dalla Cina è lo sfruttamento di tutti i potenziali offerti dalla politica industriale per approfondire il disaccoppiamento delle nostre economie dalla Repubblica Popolare nei settori-chiave della transizione energetica.

Bisogna valorizzare il ruolo dello Stato: programmazione industriale, pianificazione di mercato e uso gli incentivi possono aiutare a rompere la dipendenza, e a mio avviso bisogna riconsiderare l'uso dei dazi per difendere le nostre industrie critiche".

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