Politica estera

Fuoco amico su Biden: "Serve il test cognitivo"

Polemiche sul rapporto Hur che inchioda il presidente per la poca memoria. Sotto accusa il ministro Garland

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Per Joe Biden è forse il momento più buio da quando è alla Casa Bianca. Il presidente americano è stato travolto da una tempesta politica dopo il rapporto del procuratore speciale Robert Hurt sulle carte segrete che lo definiva come un uomo anziano con poca memoria, e la raffica di gaffe in pochi giorni non ha fatto che alimentare i dubbi sulla sua tenuta mentale. Secondo quanto rivelano alcune fonti al Wall Street Journal il comandante in capo è «furioso» e ha sfogato la sua rabbia dietro le quinte con un gruppo di consiglieri. Al 1600 di Pennsylvania Avenue inoltre cresce la frustrazione contro il ministro della Giustizia Merrick Garland: il presidente e i suoi più stretti alleati - riporta Politico - ritengono che Hurt si sia spinto troppo oltre nel rapporto e puntano il dito su Garland, ritenuto in parte colpevole di non aver chiesto modifiche al testo prima della sua pubblicazione.

In ogni caso, dopo le affermazioni contenute nel dossier, aumentano le richieste tra i professionisti medici affinché Biden si sottoponga ad un test di competenza mentale. L’81enne presidente, nonostante sia il più anziano nella storia degli Stati Uniti, sino ad ora si è rifiutato, anche se i risultati del suo ultimo check up fisico rilasciati dalla Casa Bianca nel febbraio dello scorso anno lo descrivevano come «idoneo a svolgere con successo i compiti della presidenza». Tuttavia non facevano menzione di alcun esame cognitivo o di una valutazione delle sue capacità. Per il board editoriale del New York Times, comunque, Biden deve «fare di più per mostrare al pubblico di essere completamente in grado» di mantenere la presidenza fino a 86 anni, e la conferenza stampa di giovedì invece di rassicurare il pubblico ha sollevato «ancora più dubbi».

I media, intanto, hanno ricostruito quella che definiscono la «bolla» costruita negli anni dalla Casa Bianca intorno al comandante in capo per proteggerlo da potenziali gaffe o problemi fisici, nella consapevolezza che a causa della sua età ogni eventuale passo falso sarebbe amplificato. Poche, anzi pochissime, conferenze stampa (e spesso la presenza della first lady al suo fianco è chiaro indizio per i giornalisti che non ci saranno domande), gradini meno alti per imbarcarsi sull’Air Force One, e spostamenti minuziosamente curati. Biden non ha dato nessun segnale di voler abbandonare la corsa per il secondo mandato, e anzi può contare sulla moglie Jill come una forte sostenitrice della sua ricandidatura.

Nonostante questo, impazza il toto-nomi su chi potrebbe sostituirlo come candidato democratico. Come sempre il primo è quello di Michelle Obama, sogno di molti giovani democratici. «Ama ma questo Paese, è una persona brillante e una brillante comunicatrice, ma la politica non le piace. Ci sono più chance che io balli il prossimo anno al Bolshoi che Michelle si candidi», commenta David Axelrod, l’ex stratega di Barack Obama. Tra gli altri nomi ci sono quelli dei governatori della California Gavin Newsom e del Michigan Gretchen Whitmer.
Ma se pure Biden dovesse decidere di farsi da parte, un altro grande ostacolo da superare sarebbe quello della vice Kamala Harris.

La sostituta naturale del presidente nei sondaggi è ai minimi storici, ma nessuno probabilmente si vorrebbe schierare contro di lei, anche perché questo sarebbe letto pure come un attacco a una candidata donna afroameri cana.

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