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Giornalisti, affaristi, pacifisti. Gli eredi (improbabili) del grande oppositore

Navalny se ne va senza lasciare «delfini»: dal ricchissimo esule fondatore di «Open Russia», alla sua «protetta» Sobol, all’anarco-capitalista Chichvarkin, rimpiazzare il dissidente sarà impossibile

Giornalisti, affaristi, pacifisti. Gli eredi (improbabili) del grande oppositore
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Morto un Navalny non se ne fa un altro, perché sua forza è sempre stata quella del lupo solitario, senza avere alle spalle un’organizzazione rigida e diffusa come un partito. Situazione che gli ha lasciato le mani libere, ma che l’ha reso del tutto privo di eredi. In Russia l’opposizione non esiste, perché Putin continua, nonostante tutto, a essere popolare in particolar modo nelle aree rurali (dove fa il pieno di voti), riesce a silenziare ogni tentativo di dissenso con omicidi mirati, e fa leva sulla presenza dei partiti Nazionalista e Comunista, antagonisti solo di facciata, ma organici al sistema di potere dello zar del Cremlino.

Eppure qualcuno dovrà pur raccogliere l’eredità di Navalny, tentando in qualche modo di sgretolare lo strapotere putiniano. Ci si aggrappa a Mikhail Khodorkovsky, un tempo l’uomo più ricco di Russia, rinchiuso per undici anni in un campo di lavoro per poi emigrare in Svizzera. Oggi, dall’esilio di Londra, pianifica la costruzione di un nuovo Stato russo per quando Putin se ne sarà andato. Khodorkovsky è il fondatore di «Open Russia» e di «Anti-War Commettee», organizzazioni che si battono, ovviamente dall’estero, contro l’establishment del Cremlino e che riuniscono personalità di spicco come l’ex campione del mondo di scacchi Garri Kasparov, l’ex premier russo Mikhail Kasyanov (per anni il leader del partito d’opposizione Parnas), e lo storico Vladimir Kara Mursa.

All’estero, in Ucraina per l’esattezza, vive l’ex deputato della Duma Ilya Ponomarev, che nel 2014 era stato l’unico a votare contro l’annessione della Crimea. Ponomarev sarebbe il leader occulto delle organizzazioni paramilitari che fanno capo a «Freedom for Russia Legion», responsabili di alcuni assalti a infrastrutture, caserme e depositi d’armi sul territorio russo. A novembre ha organizzato in Polonia un congresso di ex deputati che avevano condannato la guerra, come l’oppositore di lunga data Gennady Gudkov e l’avvocato Mark Feygin, oggi più noto come blogger, e rifugiatosi a Odessa. Il summit si è concluso senza un accordo tra le parti.

C’è stato un momento in cui qualcuno (persino Washington) sperava che il testimone passasse nelle mani del pacifista Boris Nadezhdin, una lunga carriera politica alle spalle e che negli ultimi mesi si era espresso apertamente contro la guerra in Ucraina, attaccando in modo piuttosto diretto Putin. La Commissione elettorale ha però escluso la sua candidatura alle elezioni presidenziali di marzo nonostante le 105mila firme raccolte in 40 regioni diverse. Stesso destino toccato in sorte a dicembre alla giornalista Yekaterina Duntsova, bocciata alla corsa al Cremlino per presunti errori burocratici. È andata peggio alla «delfina» (forse l’unica) di Navalny, Lyubova Sobol, più volte arrestata durante le proteste di piazza e condannata al pagamento di 400mila euro per atti di sedizione.

Si può invece ormai considerare un personaggio naif o poco più Yevgeny Chichvarkin, uomo d’affari che da tempo vive a Londra e che si definisce un «anarco-capitalista».
Putin l’avrebbe reso inoffensivo dopo un pestaggio che lui, a oggi, nega di avere subìto.

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