
La contrazione del Pil registrata negli Stati Uniti per il primo trimestre dell'anno segna un solco non sappiamo ancora quanto profondo nella narrativa economica che il Presidente Trump ha costruito sin dal suo primo mandato, centrata sull'espansione dell'attività economica, le sue ricadute sul mercato del lavoro e la difesa della classe media.
Tuttavia, a 100 giorni dal suo insediamento, prevale un clima di incertezza, confermato dall'indice dell'Università di Stanford che ad aprile ha segnato un aumento significativo rispetto alla media del primo trimestre. Tali prospettive, ancor prima di rallentare la produzione e fermare il dinamismo del mercato del lavoro, rischiano di alterare l'andamento complessivo dell'economia americana per i mesi a venire, scoraggiando investimenti e assunzioni da parte delle imprese e inducendo i consumatori a spese più prudenti. Non si tratta solo dei dati macroeconomici che stanno emergendo in questi giorni. Certo, la bilancia commerciale ha segnato un paradossale peggioramento a marzo a causa di aumenti repentini delle importazioni nel tentativo di approvvigionarsi prima dell'applicazione delle tariffe. Si tratta, piuttosto, di comprendere quali siano le prospettive per i prossimi trimestri e quale impatto avranno sulla narrativa dello Studio Ovale. Con le elezioni presidenziali ormai definitivamente alle spalle, il deterioramento delle condizioni economiche rischia di erodere rapidamente il consenso tra quegli elettori della classe media che sono stati la base elettorale di Trump sin dal 2016.
A complicare il quadro per i prossimi trimestri, infatti, vi sono le ultime rilevazioni dell'Università del Michigan che mostrano un aumento delle aspettative di inflazione chiudendo la Fed nell'angolo. Le aspettative a un anno sono salite al 6,5 per cento in aprile rispetto al 5 del mese precedente. In sostanza, le aspettative di inflazione sono significativamente disancorate, come si dice in gergo, dall'obiettivo della Fed di medio periodo del 2 per cento, a causa dell'impatto degli aumenti tariffari ma anche dell'incertezza sulla loro futura traiettoria. I consumatori percepiscono un rischio persistente di rincari futuri, soprattutto su beni essenziali come prodotti alimentari e carburanti, minando la loro fiducia sulle prospettive economiche che li attendono.
Del resto, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha già anticipato che la banca centrale non potrà proseguire nella discesa dei tassi di intervento, finché le aspettative di inflazione non si stabilizzino su livelli compatibili con l'obiettivo di crescita dei prezzi della Fed. Tale postura, peraltro, sarà simmetricamente opposta a quella della Bce che prosegue nell'allentamento delle restrizioni monetarie in seguito alla stabilizzazione del quadro inflattivo e al deterioramento delle prospettive di crescita dell'Eurozona dovute alle conseguenze delle politiche tariffarie americane sull'economia mondiale. In tal senso, contribuirà ma del tutto involontariamente all'acuirsi dello scontro tra Casa Bianca e Fed.
Non è raro che fra lo Studio Ovale e l'Autorità monetaria vi siano conflitti. Nel secolo scorso, ve ne sono stati numerosi sotto presidenze sia democratiche che repubblicane. Il più recente, e sotto traccia, risale ai tempi dell'amministrazione Reagan preoccupata dalla politica degli alti tassi interesse che Paul Volcker inaugurò, nei primi anni Ottanta, per disinflazionare l'economia americana sia pure a costo di una recessione. La storia insegna che, nei conflitti tra la Casa Bianca e la Fed, a lungo termine è la banca centrale a prevalere, consolidando la propria credibilità e imprimendo la rotta alla politica economica.
L'inflazione post-Covid è stata stabilizzata dalla Fed di Jerome Powell raggiungendo il cosiddetto soft landing in sostanza, ha disinflazionato l'economia salvaguardandone la crescita e il dinamismo del mercato del lavoro. Tuttavia, la recente prudenza annunciata dalla Fed rischia di vanificare la strategia economica dell'amministrazione che punta su quattro frecce. La prima, e più avanzata allo stadio attuale, è l'agognato riequilibrio delle relazioni commerciali con strumenti sanzionatori. Tuttavia, il suo lancio improvvisato e disarticolato appare compromettere l'impulso che iniziative successive, centrate su deregolamentazione, riduzione del carico fiscale e profonda revisione delle politiche di transizione ecologica possono imprimere all'economia.
Nel contesto di una significativa incertezza, il loro effetto pro-crescita rischia di essere irrimediabilmente diluito. Sullo sfondo, la politica di alti tassi di interesse e, di conseguenza, un dollaro forte comprometterebbero definitivamente la narrativa trumpiana dell'ultimo decennio e segnerebbero l'ulteriore affossamento della classe media che pure ha sostenuto vocalmente l'attuale presidenza.
Quando la sfiducia si insinua tra consumatori, investitori e partner internazionali, il rischio non è soltanto quello di una frenata congiunturale, ma di un'erosione strutturale della credibilità. Per l'amministrazione Trump, il dato negativo del primo trimestre non è solo un incidente di percorso: è un primo, serio segnale di allarme. Ignorarlo potrebbe trasformare un solco congiunturale in una vera voragine.
Il conflitto, all'interno dell'amministrazione, è appena cominciato con una battaglia senza esclusioni di colpi tra chi sollecita una linea dura contro la Fed e una stretta sulle politiche commerciali, convinto che la fermezza alla fine premierà, e chi, più pragmaticamente, teme che l'aggravarsi delle tensioni possa accelerare la frenata dell'economia e compromettere la tenuta politica dell'amministrazione.
Quest'ultimo gruppo fa capo al segretario di Stato, Marco Rubio, e al segretario al Tesoro, Scott Bessent e sembrerebbe, al momento, in leggero vantaggio sui massimalisti guidati dal segretario alla Difesa, Pete Hegseth, e da Peter Navarro, il fidato consigliere dello Studio Ovale, con il segretario al Commercio, Howard Lutnick, oscillante tra un gruppo e l'altro. Sarà questo scontro interno, prima ancora degli avversari esterni, a decidere il prossimo capitolo della presidenza Trump e il suo impatto sull'economia mondiale.
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