Guerra in Ucraina

"L’Ucraina è il chiodo nella bara della Russia. È la fine della globalizzazione"

La fine di Mosca, il contraccolpo incassato dall’Occidente e l’ascesa non così facile della Cina. Chi sale e chi scende dopo la guerra in Ucraina: le previsioni dell’inventore dei “mercati emergenti”

“L’Ucraina è il chiodo nella bara della Russia. È la fine della globalizzazione"

Non è questione di se, ma di quando. Dalla morte del mercato globale a trazione americana al declino inarrestabile della Russia, prigioniera di un sogno di grandezza che sta cadendo a pezzi. Fino alla scalata prepotente della Cina, ma anche di nuovi attori, sempre più affamati e pronti, da est, a strappare fette di primato a un Occidente al tramonto. Antoine van Agtmael - l’inventore del termine “mercarti emergenti” e fondatore di Emerging Markets Management LLC, azienda leader di investimenti nei paesi in via di sviluppo - ci spiega perché la guerra in Ucraina ha accelerato la corsa verso un mondo che non sarà più lo stesso.

Lei ha dichiarato che il XXI secolo sarà il secolo cinese. Quindi il predominio occidentale ha le ore contate?
“Ci stiamo muovendo verso il tramonto del primato dell'Occidente, mentre l'Asia - guidata dalla Cina - sta gradualmente guadagnando forza economica, militare, tecnologica e infine politica. La fiducia e l'aspirazione cinese di diventare una - anche la - potenza globale cresce, ma resta da vedere se alla fine soffrirà della fragilità che ha sempre minato la maggior parte delle autocrazie. La Cina è sì riuscita ad essere in prima linea in settori come l'intelligenza artificiale, le comunicazioni 5G, la fusione nucleare, i treni super veloci e la ricerca sulle cellule staminali, per citarne solo alcuni, ma rimane ancora indietro in altri, come i semiconduttori, la tecnologia degli aerei e l'mRNA. È presente a livello internazionale in Asia centrale, Africa e America Latina, ma non ha ancora costruito una rete di alleanze paragonabile a quella degli Stati Uniti. Pechino, insomma, avrà i suoi problemi nell'adattarsi al ruolo di potenza numero 1, proprio come ci vorrà del tempo perché l’America si abitui all'idea di essere la numero 2”.

Il conflitto in Ucraina può cambiare le carte in tavola?
“No. Anche se l'Ucraina sarà il chiodo nella bara del sogno nostalgico della Russia di dominio dell'Europa orientale e delle sue ambizioni da potenza europea e globale. Mosca ha sbagliato i calcoli, credendo che l'Occidente paralizzato dalle minacce interne al suo ordine democratico, ancora stordito dall'improvviso e disastrosi ritiro dall'Afghanistan e più diviso di quanto si sia rivelato, le avrebbe garantito una "vittoria facile", che si è rivelata illusoria. Il risultato finale è stato quello di rendersi ancora più dipendente dal mercato cinese, confermandosi nettamente subordinata nella sua "alleanza" strategica con Pechino”.

E le sanzioni saranno il colpo di grazia per Mosca?
“È più che probabile che alla fine i russi (e gli ucraini) non abbiano altra scelta che accettare un negoziato di cui nessuno sarà contento. Le sanzioni colpiranno la Russia a lungo termine, scontentando molti dei suoi oligarchi e professionisti più giovani, specialmente nelle principali città. Anche se il sostegno popolare per l'invasione ucraina resta ampio. Il ruolo di Mosca sarà quello di un partner minore di Pechino (ma pur sempre dotato di armi nucleari) in un mondo deglobalizzante, che sarà sempre più dominato da due o tre blocchi di potere, tra cui un blocco Cina-Russia”.

La Cina ha appena acquisito il 25% della società che gestisce il porto di Amburgo e che controlla la piattaforma logistica del porto di Trieste. Pechino si prenderà l’Europa?
“Una quota del 25% è diversa dal controllo, ma l'iniziativa della Via della Seta è viva eccome, strisciando (e a volte galoppando) in avanti ma non senza problemi e resistenza. I cinesi hanno dimostrato di essere maestri nella rapida costruzione di infrastrutture (solo alcune però, come i treni-proiettile, sono veramente hi-tech), anche se non sono mancate contestazioni per prestiti ingiusti e costosi o per il mancato utilizzo di manodopera e fornitori locali. Proprio come nella seconda metà del XX secolo c'era la sindrome dell’"americano brutto e cattivo", oggi sta emergergendo quella del "cinese brutto e cattivo", che sarà un freno nella corsa del Dragone”.

La globalizzazione pare aver esaurito la sua spinta unificante. Morto il mercato globale, cosa ci sarà dopo?
“Siamo ben oltre il picco della globalizzazione e ora stiamo "de-globalizzando" in blocchi di potere più autosufficienti. Lo tsunami in Giappone e la pandemia ci avevano già insegnato che un mondo senza catene di approvvigionamento globali molto ristrette avrebbe potuto essere efficiente in termini di costi. Ma il timore che non fosse sufficientemente resiliente ci ha reso dipendenti da altri su cui non potevamo sempre contare. E la guerra in Ucraina ce lo ha chiarito di nuovo. Allo stesso tempo, le tecniche di produzione avanzate che utilizzano la robotica, la necessità di risparmiare energia e la necessità di passare dall'era dei combustibili fossili all'era dell'elettrico hanno portato i vari ceo a riflettere sulla necessità di avvicinare i prodotti ai loro mercati di consumo. Un trend destinato ad accelerare”.

Allora si sbagliava Francis Fukuyama quando, 30 anni fa, profetizzò “la fine della storia” e il trionfo dell’ordine liberal-democratico a trazione Usa?
“Sì, ha dimostrato di aver sbagliato. La storia d’altronde è piena di battute d’arresto, colpi di scena e virate improvvise”.

Quindi, ha ragione Putin: il mondo unipolare a dominio americano è tramontato?
“In questo senso ha ragione, ma non certo perché ci sarà un impero russo a fare da secondo polo come lo è stato l'impero sovietico durante la Guerra fredda”.

Sono passati più di quarant’anni da quando ha coniato il termine “mercati emergenti”. Quali sono gli emergenti che hanno tradito le aspettative e quelli invece su cui punterebbe oggi?
“Quando ho coniato il termine nel 1981, nessuno dei Bric (acronimo nato 29 anni dopo) era un luogo in cui investire. Il Brasile era un disastro economico, la Russia era dietro la cortina di ferro, l'India era un incubo burocratico e la Cina non molto tempo prima di sperimentare la rivoluzione culturale. Era un momento in cui molti paesi in via di sviluppo iniziavano a esportare (seguendo gli esempi di Corea e Taiwan), dando il via a decenni di crescita, investimenti e maggiore prosperità. Negli ultimi dieci anni molti investitori sono rimasti delusi da paesi come Venezuela, Argentina, Russia, Brasile, che sono scesi ben al di sotto del loro potenziale, mentre Corea del Sud e Taiwan hanno continuato a crescere, anche se con il rischio incombente di diventare teatri di sfide geopolitiche. Comunque, il grosso del potenziale su cui puntare rimane in Asia.

Dalla Cina all'India, all'Indonesia e a Singapore”.

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