L'impossibilità di fuggire dai "doveri imperiali"

Il ruolo dell’egemone globale, per gli americani stanchi, è ormai più una maledizione che una scelta

L'impossibilità di fuggire dai "doveri imperiali"
00:00 00:00

C’è chi sostiene che le radici dell’ultima crisi tra Stati Uniti e Iran vadano cercate nel 1979, con la rivoluzione islamica. È senz'altro vero. Da allora, la retorica del regime si è fondata su un dualismo ossessivo e manicheo, utile a governare con il terrore dentro e l’odio fuori: Israele piccolo Satana, Stati Uniti grande Satana. Un nemico che è insieme senso della propria esistenza e delle proprie politiche, assetate di ordine e sangue.

C’è chi indica un altro snodo: il naufragio dell’accordo sul nucleare del 2015, voluto da Obama e che pure avrebbe meritato il Nobel ben più della sua prima campagna elettorale. Vero anche questo.

Ma era comunque un’intesa fragile e piena di falle, che non fermò mai il vero progetto egemonico iraniano, anzi rafforzato dall’allentamento delle sanzioni. Così mentre firmava a Vienna, Teheran continuava ad armare Hezbollah a Beirut, sostenere gli Houthi a Sana'a, finanziare Hamas a Gaza, accerchiare Israele e destabilizzare i rivali sunniti dell’area.

Il primo Trump stracciò l'accordo, nel modo spiccio e brutale ormai noto a tutti. Biden tentò di rimetterlo in piedi, senza convinzione, più per le telecamere che per strategia. L’attacco aereo in Siria del 2021, con decine di miliziani filo-iraniani uccisi, dimostrava brutalmente che le condizioni non c’erano più. Che, forse, non c’erano mai state. Il piano si stava già inclinando, sempre più veloce, piegando in pochi anni l’asse che ha retto per decenni l’Iran degli ayatollah.

La Russia, storica alleata, restava impantanata in Ucraina, finendo per chiedere più aiuti a Teheran che offrirne. Netanyahu ha trovato nel 7 ottobre un detonatore, cinico e tragico, per soffocare Hamas a Gaza. Il rovesciamento di Assad in Siria ha chiuso il corridoio che univa i nemici di Israele, che ha quindi agito in un lampo colpendo Hezbollah e sfidando gli Houthi. Ogni nemico colpito per procura era un mezzo per un solo fine, ridisegnare gli equilibri regionali. Fino alla guerra, non più per interposte milizie ma confronto tra Stati. Aperto, come mai nella storia. L’erosione strutturale del regime degli ayatollah, mai così debole e isolato come oggi, è insieme causa ed effetto di tutto questo. Le ultime repressioni, impiccagioni nelle piazze e secchiate di sangue sono testimonianze di una violenza ormai plateale, destino comune di ogni dittatura al tramonto.

Tutto era pronto per un attacco, arrivato puntuale quando l’AIEA ha indicato un record allarmante nella percentuale di arricchimento dell’uranio di Teheran, coerente soltanto a un suo sviluppo militare. Quando Israele ha colpito i siti nucleari, era evidente che non poteva farcela da solo. Washington non poteva più tirarsi indietro, lasciando anche simbolicamente intatti agli iraniani feriti gli ultimi e più strategici siti nucleari, su cui Tel Aviv non ha potere militare.

Il ruolo dell’egemone globale, per gli americani stanchi, è ormai più una maledizione che una scelta. Ci hanno provato, votando Trump, che prometteva di chiudere guerre. Nella realtà ha ucciso Soleimani nel 2020 e potrebbe ordinare domani un’altra azione “chirurgica”, come hanno fatto tutti i presidenti prima e dopo di lui.

La storia, in fondo, era già scritta. Poco conta, in realtà, chi sieda nello Studio Ovale.

Trump è tanto diverso da Biden o Obama quanto identico a loro, nel seguire una politica estera decisa da decenni di dottrina e apparati, con volti e modi diversi a comunicarla. Obama, firmando l’accordo sul nucleare iraniano, non diceva cose molto diverse da quelle che ha detto Trump, bombardando Fordow.

Questi giorni di guerra hanno molte radici, tutte portavano qui.

E da qui, chissà dove ancora.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica