Politica estera

"Possono costruire tre bombe nucleari". Iran, allarme per il programma atomico

Teheran avrebbe arricchito uranio sufficiente per la costruzione di tre bombe atomiche. Diplomazia internazionale paralizzata a causa della guerra contro Hamas e le prossime elezioni americane

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Accelera il programma nucleare iraniano. Mentre la guerra d’Israele contro Hamas entra in una nuova fase e si moltiplicano gli attacchi da più fronti contro lo Stato ebraico da parte dei proxy di Teheran, secondo indiscrezioni di stampa il regime degli ayatollah starebbe sfruttando il caos nella regione per conseguire progressi decisivi nella realizzazione di armi nucleari. Uno scenario che anche per Rafael Grossi, responsabile dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), rischia di trasformare l'Iran nella Corea del Nord del Medio Oriente.

I nuovi allarmi

La Reuters è entrata in possesso nelle ultime ore di report stilati dall’Aiea i quali affermano che il regime iraniano è ormai in possesso di un quantitativo di uranio arricchito sufficiente per la costruzione di tre bombe nucleari. Nonostante le smentite arrivate da Teheran, per i Paesi occidentali il processo di arricchimento conseguito non sarebbe compatibile con un utilizzo civile che oltretutto starebbe proseguendo senza sosta.

Un primo allarme sui piani del regime del presidente Ebrahim Raisi è arrivato a settembre, alla viglia degli attacchi compiuti da Hamas che presenterebbero tracce importanti di una Iran connection, quando agli ispettori dell’agenzia delle Nazioni Unite sono stati ritirati gli accrediti necessari a condurre i controlli previsti nel Paese. Ad essere presi di mira sono stati otto esperti di nazionalità francese e tedesca.

“La posizione dell’Iran non solo è senza precedenti ma è contraria senza ogni forma di dubbio alla cooperazione richiesta” si legge in un rapporto confidenziale dell’Aiea ottenuto dall’Afp. La stessa fonte riporta che a fine ottobre le scorte di uranio arricchito ammontavano a 4.486,8 kg - erano 3.795,5 kg ad agosto – pari a oltre 22 volte il limite stabilito dall’accordo internazionale del 2015 sul programma atomico di Teheran. Un’intesa, fortemente voluta dal presidente americano Barack Obama ma abbandonata dal suo successore Donald Trump nel 2018, che vincola l’allentamento delle sanzioni nei confronti del regime al rispetto di determinate regole e parametri monitorati da team di esperti.

La revoca dei permessi non è l’unico elemento a determinare grande apprensione. L’agenzia Onu ha denunciato infatti anche il mancato rispetto dell’impegno sottoscritto dagli iraniani a reinstallare gli impianti di videosorveglianza collocati dall'Aiea in alcune strutture e rimossi l’anno scorso dal regime degli ayatollah e le non convincenti spiegazioni sulla presenza di “particelle multiple di uranio” in due siti non dichiarati.

Diplomazia sotto scacco

Per le cancellerie europee i venti di guerra in Medio Oriente rendono in pratica impossibile la ricerca di una soluzione all’annoso dossier nucleare iraniano. “C’è una sorta di paralisi, specie tra gli americani perché non vogliono aggiungere benzina sul fuoco” confida alla Reuters un funzionario del Vecchio Continente. E in effetti gli Stati Uniti dopo gli attacchi di Hamas, un’organizzazione finanziata anche dall’Iran, e a meno di un anno dalle elezioni presidenziali sembrano avere pochi strumenti per ricondurre Teheran sulla strada della collaborazione con l‘Occidente. L'unico linguaggio adoperato da Washington in questa fase è quello della deterrenza, un messaggio trasmesso attraverso il massiccio dispiegamento di forze militari Usa nella regione pronte a dissuadere i pasdaran dall'entrare nel conflitto contro Israele.

Qualche mese fa aveva suscitato grande scalpore un accordo che aveva garantito lo scongelamento di sei miliardi di dollari di fondi iraniani bloccati a causa delle sanzioni in un conto di una banca della Corea del Sud in cambio della liberazione di alcuni cittadini statunitensi accusati di spionaggio. Il raggiungimento dell’intesa era stato visto dall'amministrazione guidata da Joe Biden come un timido ma incoraggiante segnale della volontà di Teheran di raffreddare le tensioni che sin dalla rivoluzione teocratica del 1979 alimentano le difficili relazioni tra i due Paesi.

Nel frattempo in Israele, in guerra di fatto con le organizzazioni filoiraniane presenti oltre che nei Territori palestinesi, in Libano, Siria, Iraq e Yemen, il Jerusalem Post ricorda come ancora più che Hamas è Teheran a rappresentare una vera minaccia esistenziale allo Stato ebraico e si interroga se l'Aiea e il Mossad siano davvero a conoscenza di tutti i progressi, già comunque preoccupanti, del programma nucleare del regime di Reissi.

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