Emmanuel Dupuy, politologo e analista francese, presidente dell’Institut Prospective et Sécurité en Europe (Ipse) ricorda che «l’elezione legislativa è centrale anche per la politica estera». Presidente e premier devono concordare le posizioni su esteri e difesa. Ma per ora resta l’interrogativo sulla maggioranza assoluta.
Dupuy, terrà la «diga» anti Le Pen evocata da Macron?
«La capacità di fare barriera non appartiene più a Macron, ma a Bardella e a Mélenchon. Il primo chiama a far fronte contro la gauche, l’altro contro i lepenisti. Il campo presidenziale ha perso la sua capacità di iniziativa per una terza via, questo ci dicono i triangolari e gli ultimi sviluppi. La capacità di fare alleanze e appelli non è di chi ha meno voti».
Place de la République piena di odio, tensioni in varie città. Tutto normale?
«Somiglia molto al movimento che colpì Jean-Marie Le Pen, però Mélenchon pretende di dirsi repubblicano e robespierriano, gioca una doppia carta dicendo “peso all’Assemblée e nelle strade” lasciando intendere che non rispetterà il risultato delle urne. C’è sempre stata radicalizzazione in fasi di potenziale rottura. Ma oggi c’è una sorta di République à la carte nelle piazze. Ciò rimanda anche a una responsabilità del presidente che non è stato in grado di ascoltare i vari movimenti, dai gilet gialli a quelli contro la riforma delle pensioni, agli agricoltori».
La scelta di Macron di forzare l’Europa sui «top jobs» è stata un errore?
«Ha fatto arrabbiare tutti dando l’impressione che il suo indebolimento interno non impattasse sui rapporti di forza Ue. Scelta impertinente, insistere su Thierry Breton come Commissario, perché il campo presidenziale è uscito esanime dalle europee. Renew è marginalizzato. Non pesa più come prima. Il pallino delle prossime manovre è fra le destre, vedi Orbán, col suo progetto. E tra sei mesi la presidenza Ue sarà della Polonia, dove l’estrema destra è forte e Meloni in questa fase può certamente giocare un ruolo. Macron ha forzato, perché sa che se il “suo” Commissario sarà accettato la futura maggioranza non potrà toccarlo».
Negli Usa, quasi due secoli per due candidati. In Francia Macron, 46 anni, il suo premier Attal, 35, Bardella, 28. Da cosa dipende?
«Macron è arrivato al potere fuori dal partito, da vecchie abitudini e apparati. Ha dimostrato che è possibile anche oggi un’avventura bonapartista della vita politica, e per Bardella è lo stesso. Ha tagliato un po’ il cordone ombelicale col lepenismo. Non viene dalla cerchia familiare».
La Russia guarda con attenzione al voto francese. L’indebolimento dell’Eliseo può pesare sul sostegno all’Ucraina?
«La linea francese resta la stessa. Mosca guarda all’arrivo di Le Pen, ma più per ristabilire un rapporto. Alcuni quadri Rn, come Sébastian Chenu, hanno ribadito nelle ultime ore la necessità di un negoziato e di non tagliare i ponti con Putin. L’opzione diplomatica, se sarà brandita dall’America con Trump alla Casa Bianca, se Bardella vincerà vedrà un premier non reticente al negoziato. Fa il gioco della Russia, ma non vuol dire che il sostegno a Kiev muterà».
Le Pen ha cambiato posizione omaggiando la resistenza di Kiev. Cosa c’è da aspettarsi?
«Bardella si è sempre detto pro sostegno finanziario, diplomatico e anche militare a Kiev senza mettere in
discussione i 50 miliardi di euro promessi dall’Ue a giugno. Dice: non mandiamo armi a lunga gittata per colpire in territorio russo. Ma questa distinzione può scomparire anche nel discorso lepenista in un nuovo pragmatismo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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