Cara Lisa,
Navalny sapeva benissimo che, tornando in Russia, sarebbe stato rinchiuso e ucciso, essendo egli il maggiore oppositore di Putin, il più stimato, il più acclamato, il più credibile tra i nemici dello zar, il quale lo temeva al punto di volerlo annientare. Del resto, Navalny aveva già subito un tentato omicidio, sopravvivendo miracolosamente ad un avvelenamento.
Dobbiamo quindi ritenere che egli sia stato leggero, che abbia sottovalutato il rischio, o piuttosto che lo abbia assunto in piena coscienza, forse confidando un po' troppo sul fatto che la sua presenza in Russia avrebbe prodotto una reazione da parte del popolo, dell'opinione pubblica, la quale ne avrebbe chiesto la liberazione?
Difficile rispondere a tale quesito, ma certo è che, sia nell'uno che nell'altro caso, c'è stato un errore di valutazione. Nel primo caso di sottovalutazione, nel secondo caso di sopravvalutazione di una opinione pubblica che reagisce in qualche maniera pallida solamente ora che è troppo tardi, ossia ora che Alexey Navalny è morto. Quando era ristretto in un gulag dove stavano quelli che ora depongono fiori?
C'è poi una terza ipotesi, ossia che egli sia andato incontro lucidamente ad un destino che considerava segnato e ineluttabile, persuaso che il suo trapasso, inevitabile, avrebbe un pochino scosso gli animi, prodotto qualche mal di pancia, generato una sorta di insurrezione. Di cui però non si vede traccia.
Certo, siamo scesi tutti in piazza. Certo, i leader europei e non soltanto pretendono spiegazioni, pongono interrogativi, parlano di dittatura russa nonché di omicidio. Certo, qualcuno si è fatto sentire anche in Russia, ma poca roba. Non si può di sicuro sostenere che, al di là di queste sbiadite e temporanee iniziative, il potere di Putin e il suo regime siano stati scalfiti o corrano il pericolo di esserlo.
Con questo sacrificio nulla muterà. Ecco perché reputo che il dissidente sarebbe stato più efficace da vivo che non da cadavere. Dunque non posso che concordare con te, cioè che sia stata una scelta sciocca quella di rientrare in patria, mettendosi nelle mani di colui che lo voleva in una fossa.
Crediamo che attraverso l'eroismo possiamo mutare il mondo, ma poi ci accorgiamo che non si trasforma un bel niente, nonostante il nostro martirio. Dall'estero Navalny avrebbe però potuto condurre la sua guerra contro Putin, risvegliare le coscienze sopite o impaurite dei russi, avvezzi ad essere dominati, abituati all'assenza di democrazia, rassegnati alla censura, alla repressione di libertà umane essenziali, come quella di pensiero, di opinione, di critica, di parola.
Adesso sai cosa accadrà? Faremo un po' di chiasso ancora per qualche giorno. Ci indigneremo ancora sulle pagine dei giornali e in dibattiti televisivi che non hanno alcun peso. Capi di Stato e di governo punteranno il dito contro Putin, dandolo per colpevole, e magari ci azzeccheranno, ma non potranno dimostrarlo. Lo zar riceverà il solletico. Il governo russo taccerà costoro di violare norme del diritto internazionale, come il divieto di ficcare il naso negli affari interni di un altro Stato.
La moglie del defunto sarà invitata qua e là, applaudita, commiserata, chiamata «erede politica del marito».E anche tutto questo, lo ripeto, non sarà servito a niente. L'unico ad uscirne più forte è e sarà Vladimir Putin, il quale finalmente si è liberato di una piccola ma fastidiosa spina nel fianco.
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