Troppo educati e troppo deboli. Ferruccio de Bortoli spiega così sul Corriere l'incapacità dell'Ue e dei suoi capi di contrapporsi ad una Casa Bianca tornata ieri a martellare i paesi europei e i suoi leader definendo «decadenti» i primi e «confusi» i secondi. La diagnosi di De Bortoli è troppo benevola. Se bastasse essere più aggressivi verbalmente e più energici politicamente tutto sarebbe ancora risolvibile. Il problema dell'Unione è di essere, invece, un mollusco afono e privo di muscoli, strutturalmente inadeguato a fronteggiare qualsiasi emergenza. Quest'inadeguatezza di fondo è la diretta conseguenza di una genesi arrivata a compimento nel 1992 con quell'inno all'euro-burocrazia chiamato Trattato di Maastricht. A peggiorare il tutto contribuisce nel decennio successivo l'incapacità di affiancare al cavilloso elenco di norme una costituzione capace di regalargli un'anima, definendone parametri ideali e valoriali. Anche perché dietro l'obbrobrio di Maastricht si cela un demiurgo chiamato Jacques Santer, un oscuro premier lussemburghese che lungi dal regalare all'Europa un manuale da grande potenza la intrappola in un vademecum da ragioniere. A rendere quel trattato ancor più inadeguato e anacronistico s'aggiungono gli anni in cui viene scritto. Anni in cui va per la maggiore il saggio di Francis Fukuyama che immagina una fine della storia sancita dalla vittoria globale di democrazia e liberalismo. Pie illusioni che spingono Santer e gli altri euro-demiurghi a puntare tutto sulla costruzione di norme giuridico economiche scordando quel che più servirebbe oggi ovvero una Difesa comune e una Politica Estera rapida e incisiva. Il risultato non è l'Europa perbenina ma fragile descritta da De Bortoli, bensì un corpaccione inerte, perennemente incapace di decidere e agire. Anche perché proprio l'assenza di una Costituzione, ovvero di una bussola ideale e valoriale, rende disorientata l'Europa e «confusi» i suoi leader.
Una sindrome resa evidente dai tracheggiamenti con cui l'Ue risponde alle crisi che negli ultimi 15 anni ne minacciano la sopravvivenza. Tutte crisi, da quella del debito sovrano nel 2009 passando per l'emergenza migranti nel 2015, la pandemia e, infine, la carenza energetica innescata dal conflitto in Ucraina in cui l'Unione dimostra tutta la sua irrilevanza. Ma dall'irrilevanza non si esce con qualche aggiustamento ai toni della voce e della politica.
Per risolvere la crisi esistenziale dell'Ue urge una radicale ristrutturazione dei suoi trattati e delle sue istituzioni. E questo non ce lo fa capire solo quel «cattivone» di The Donald, ma anche l'illustre Mario Draghi. Solo che con il primo c'indigniamo mentre con il secondo ci entusiasmiamo.