La rinuncia di Biden e il piano B dei dem: cosa può succedere prima del voto

Il rapporto del procuratore speciale Robert Hur sulla salute mentale di Biden apre le porte a ipotesi sul futuro dei democratici e sulla possibilità di un altro candidato che sfidi Trump. Ma tutto rimane appeso proprio a Biden. Gli scenari

La rinuncia di Biden e il piano B dei dem: cosa può succedere prima del voto

Per mesi i dem Usa hanno ignorato il problema dell'età di Joe Biden. Poi è arrivato il rapporto del procuratore speciale Robert Hur che ha scoperchiato il vaso di Pandora rivelando che il re, o meglio il presidente, era nudo. Quelle frasi, ripetute, sulle diminuite facoltà cognitive del capo della Casa Bianca hanno portato al centro del dibattito l'età e lo stato di salute di Biden. Viene quindi da chiedersi se per il partito dell'asinello non sia arrivato il momento di trovare un'alternativa. Difficile per come è organizzata la politica americana, ma non impossibile.

Il passo indietro di Biden

Allo stato attuale il candidato dei dem rimane l'attuale presidente. In più di un'occasione Biden ha confermato di essere stanco, ma di avere comunque le energie e soprattutto la volontà di correre perché ritiene di essere l'unico in grado di battere Donald Trump. Anche la stagione delle primarie non ha dato grandi segnali. Il presidente si è imposto informalmente in New Hampshire, e ha vinto in Sud Carolina e Nevada superando il deputato del Minnesota Dean Philips. Ad ora è impossibile che qualcuno subentri nella corsa alle primarie. Anche se per il momento i delegati assegnati sono meno del 3%, i tempi per presentare una candidatura sono praticamente scaduti. A marzo si potranno presentare le firme solo in Nebraska, Montana, Nuovo Mexico, New Jersey, South Dakota e Oregon. In più nessuna figura dallo spessore nazionale accetterebbe di immolarsi in questo momento prendendo parte a una corsa elettorale senza uno staff alle spalle, radicamento dei volontari nel territorio e soprattutto grandi finanziatori alle spalle. Quindi sulla carta si arriverà alla convention estiva del partito con Biden come candidato designato.

Come fare quindi per sostituirlo? Gli scenari sono pochi: o Biden si fa volontariamente da parte, o lo stato di salute peggiora in modo sensibile nei prossimi mesi o i delegati si rivoltano contro di lui durante la convention. Il piano B dei democratici passa quindi dallo stesso Biden. Allo stato attuale convincerlo a farsi da parte è molto difficile ma forse, sottolinea Politico, un modo per uscirne a testa alta ci sarebbe.

Il presidente dovrebbe lasciar finire la stagione delle primarie, che si chiude il 4 giugno con gli ultimi Stati al voto, vincere la nomination e arrivare alla convention. A quel punto annunciare di non accettare la nomina per poi lasciare libertà di voto ai suoi delegati. In questo scenario Biden potrebbe lasciare dicendo di essere comunque in salute, ma di voler rispettare l'opinione degli americani che si dicono preoccupati per la sua età. Potrebbe dire che con un’economia in espansione, una rinnovata fiducia nella democrazia e la sconfitta di Donald Trump nel 2020 e 2022 il suo compito è esaurito.

Guerra tra bande alla convention

Nel caso di passo indietro dell'attuale inquilino della Casa Bianca si aprirebbe una partita tutta nuova. A quel punto pioverebbero sondaggi su tutte le alternative in vista del 5 novembre e così in due mesi scoppierebbe una faida tra i big del partito per arrivare alla convention di Chicago del 19 agosto con le giuste alleanze (e sondaggi) per farsi nominare candidato.

Qui Biden potrebbe giocare ancora un ruolo dato che i delegati sono nei fatti "suoi". Verrebbe da pensare che il loro voto possa convergere verso la vice presidente Kamala Harris che già si è detta "pronta". Ma indici di gradimento sottozero, primarie disastrose nel 2020 e sondaggi che non la vedono vincente su Trump, la squalificano.

L'attenzione della convention potrebbe quindi essere dirottata verso altri candidati dem che da tempo giocano su un terreno che va oltre i singoli Stati. Tra i papabili ci sono infatti almeno tre governatori. Il più in vista è Gavin Newsom della California, seguito da Jay Robert Pritzker dell'Illinois e Gretchen Whitmer del Michigan.

In questo contesto lo scontro alla convention sarebbe molto violento, dando il via a quella che in gergo si chiama Brokered convention. Ogni corrente del partito cercherebbe di far prevalere il suo candidato. Quella più liberal spingerebbe per Newsom, mentre quella vicina a Biden potrebbe puntare sulla Whitmer. La governatrice è una moderata, governa uno Stato fondamentale per la vittoria della Casa Bianca e ha un legame diretto con l'ex senatore del Delaware dato che è stata una dei membri della sua campagna elettorale e lo ha aiutato a raccogliere i voti della comunità egli arabi-musumani.

Gretchen Whitmer Jay Robert Pritzker Gavin Newsom
Da sx: Gavin Newsom (gov. California), Jay Robert Pritzker (gov. Illinois), Gretchen Whitmer (gov. Michigan)

Il caos prima del voto

In realtà c'è uno scenario ancora più convulso di quello della Brokered convention. Poniamo che Biden accetti la nomination di fine agosto ma nei due mesi successivi non sia in grado di partecipare alla campagna elettorale. Le regole della convention dem prevedono un rigido protocollo in caso di "dimissioni, invalidità o morte del candidato". In base a questo protocollo, il presidente del partito Jaime Harrison (che nel 2020 ha perso le elezioni per un seggio da senatore contro Lindsey Graham in South Carolina) dovrebbe riunire la leadership democratica del Congresso e l'associazione che raduna i governatori democratici per un primo giro di colloqui. Questa specie di collegio dovrebbe poi fare rapporto ai 450 membri della Democratic National Committee, l'organo esecutivo del partito che opererebbe poi la scelta del nuovo candidato.

Il problema è che la scelta dovrebbe essere fulminea dato che formalmente le operazioni di voto iniziano qualche settimana dopo le convention. I militari americani di stanza all'estero, infatti, iniziano a votare già in estate. Ma non solo.

Alcuni stati come Minnesota e South Dakota iniziano le operazioni di voto di persona già il 20 settembre. Il caos quindi sarebbe dietro l'angolo, con uno scenario da incubo che finirebbe con l'avere un solo vincitore: Donald Trump.

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