
Dopo il tira e molla è arrivata una nuova conferma sul nuovo round di colloqui tra Stati Uniti e Iran. La repubblica islamica ha annunciato che la sede sarà Roma: "Il secondo round di colloqui sul nucleare tra Iran e Usa si terrà sabato prossimo a Roma" e "i colloqui saranno condotti dal ministero degli Esteri dell'Oman", ha reso noto la tv di Stato iraniana dopo le anticipazioni arrivate da fonti a conoscenza del dossier. Il nostro Paese torna così al centro dei colloqui dopo che nei giorni scorsi era stata smentita una prima indiscrezione sulla sede in Europa.
Secondo quanto appreso dall'Adnkronos, il ministro degli Esteri Antonio Tajani dovrebbe avere sabato incontri separati con l'inviato americano Steve Witkoff, con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e con il collega omanita Badr Albusaidi, tutti a Roma per il secondo round di colloqui indiretti tra Washington e Teheran sul nucleare iraniano. Nella stessa giornata Tajani dovrebbe avere un colloquio telefonico con Rafael Grossi, il direttore generale dell'Aiea oggi a Teheran.
Allarme dell'Aiea: Teheran vicino alla bomba
In questa fase delicatissima arriva anche l'allarme dell'agenzia atomica. Grossi in un'intervista al quotidiano Le Monde ha detto che l'Iran "non è lontano" dal possedere una bomba atomica. "È come un puzzle: hanno i pezzi e forse un giorno potrebbero rimetterli insieme. C'è ancora molta strada da fare prima di arrivarci. Ma non sono lontani, dobbiamo ammetterlo", ha detto il direttore generale dell'Aiea. "Non basta dire alla comunità internazionale 'non abbiamo armi nuclearì perché ci credano. Dobbiamo essere in grado di verificarlo", ha aggiunto.
I dubbi dell'amministrazione Trump
L'azione diplomatica americana si svolge in un clima di forte incertezza. Secondo quanto riportato dal sito Axios, il primo a parlare di Roma come sede dei colloqui, il presidente Usa Donald Trump non vuole che l'Iran si doti dell'arma nucleare, ma il suo team di sicurezza nazionale è diviso su come questo dovrebbe essere impedito.
All'interno dell'amministrazione ci sono due correnti. Da un lato i sostenitori del dialogo con Teheran, dall'altro quelli che ritengono che sarebbe meglio colpire militarmente l'Iran o sostenere un eventuale attacco israeliano. "La politica sull'Iran non è molto chiara, soprattutto perché è ancora in fase di definizione. È complicata perché si tratta di una questione molto ‘pesante' dal punto di vista politico - ha dichiarato ad Axios un funzionario statunitense a conoscenza delle discussioni interne - Ci sono approcci diversi, ma le persone non si urlano addosso".
Sempre secondo la ricostruzione della stampa americana all'interno del team il gruppo delle colombe che vorrebbe un approccio diplomatico e aperto a compromessi ci sarebbero il vice presidente JD Vance, l'inviato Steve Witkoff e il segretario alla Difesa Pete Hegseth. I tre sono preoccupati che colpire i siti nucleari iraniani esporrebbe i militari americani nella regione a una rappresaglia.
Tra i falchi che invece vorrebbero un approccio più severo ci sono il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il segretario di Stato Marco Rubio che sono molto scettici sulla possibilità che si trovi un'intesa sul programma nucleare iraniano. Anche alcuni senatori molto vicini a Trump come Lindsey Graham del Sud Carolina e Tom Cotton dell'Arkansas. Questa fazione è convinta che in questa fase l'Iran sia molto debole e che gli Usa dovrebbero insistere per denuclearizzare in ogni modo il Paese degli Ayatollah, magari colpendo direttamente o incentivando raid israeliani.
Da settimane il Pentagono sta spostando truppe, armamenti, bombardieri e navi nell'aerea.
A Diego Garcia, atollo nell'oceano indiano che ospita due basi americane, sono arrivati sei B-2 Spirit, ma anche altri velivoli. Secondo fonti americane l'intenzione del Pentagono sarebbe quella di mostrare i muscoli in vesta del negoziato, ma non sono esclusi possibili blitz sul territorio iraniano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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