La geopolitica non è un derby

Leggere la realtà non è tifare per qualcuno. È semplicemente osservare i fatti

La geopolitica non è un derby
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Caro Feltri la disturbo per sapere se lei riesce a risolvere un vero e proprio enigma che riguarda il vicepresidente del Consiglio e ministro Matteo Salvini, quindi non un parlamentare di centrodestra qualunque.
Vale a dire perché questa sua propensione, per non dire passione, verso la Russia e antipatia se non astio per l'Ucraina? O meglio perché questa sua sviscerata passione per Putin il quale è, senza che sia la Corte penale internazionale dell'Aia a certificarlo, un criminale di guerra dei peggiori? Uno che bombarda deliberatamente i civili provocando vittime e danni enormi, non limitandosi a una guerra di aggressione militare iniziata quattro anni fa con un'invasione territoriale. Perché un politico italiano di nome prende queste posizioni al punto da mettersi in contrasto con il suo collega e ministro della Difesa Crosetto? Nessun giornalista ha mai posto in pubblico a Salvini questa questione. Io non lo capisco e né riesco a spiegarlo e lei?

Gianfranco de Turris

Caro Gianfranco,
mi chiedo perché Matteo Salvini venga definito filoputiniano ogni volta che osa esprimere un ragionamento non perfettamente allineato alla narrazione dominante. Detto con franchezza: non lo capisco. Non lo capisco perché leggere la realtà non è tifare per qualcuno. È semplicemente osservare i fatti. E i fatti, purtroppo, sono questi: le sanzioni contro la Russia non hanno scalfito il Cremlino, hanno semmai danneggiato in larga parte l'economia europea; l'invio continuativo di armi all'Ucraina non ha prodotto l'esito sperato - vogliamo ammetterlo o no? -; dopo quasi due anni lo scenario è cristallizzato, la guerra non l'ha vinta nessuno e la stanno perdendo tutti, soprattutto i civili, che crepano come mosche; nel frattempo, a Kiev, si scoprono scandali di corruzione colossale che coinvolgono proprio quei fondi e quelle forniture pagate con i soldi degli Stati occidentali, Italia compresa.

Ora, uno statista ha il dovere di guardare queste evidenze senza bendarsi gli occhi. E Salvini, piaccia o non piaccia, questo esercizio lo fa. Non vedo dove stia la colpa né dove stia il problema. Dire che una strategia non funziona non significa essere pro-Putin. Significa essere pro-logica, quella logica che purtroppo scarseggia oggigiorno.

Il leader della Lega ha un ruolo istituzionale di prim'ordine, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, e come tale ha non soltanto il diritto, ma il dovere di analizzare ciò che accade e di domandarsi e domandare se la strada imboccata dagli alleati occidentali abbia prodotto risultati positivi. La risposta, piaccia o meno, è no.

E bollare questo ragionamento come putinismo è un modo un po' infantile di evitare il confronto. Una scorciatoia intellettuale. Una stigmatizzazione politica che serve unicamente a mettere a tacere chi non recita il mantra dell'entusiasmo e del sostegno oltranzista a Zelensky. E specifico, a Zelensky, non a Kiev e al suo popolo, stremato.

Io faccio il giornalista da più di sessant'anni, e ti dico una cosa molto semplice: un'idea non si giudica dalla simpatia che proviamo per chi la pronuncia, bensì dagli esiti che produce.

E qui gli esiti sono sotto gli occhi del mondo: la Russia non arretra, l'Ucraina non avanza, l'Europa arranca, la diplomazia dorme. E in tutto questo qualcuno mangia soldi a tradimento.

Capisco che per alcuni sia più rassicurante vedere la geopolitica come una partita di calcio, con gli spalti divisi in pro e contro. Tuttavia, la politica estera non è un derby, è un campo minato. E lì, caro amico, serve la testa, non il fan-club.

Salvini invita semplicemente a guardare la realtà e a interrogarsi su come portare finalmente questo conflitto a una fine.

Se questo significa essere filo-Putin, allora temo che stiamo giocando con le etichette invece che con l'intelligenza.

Prendiamo in considerazione il punto di vista di Salvini, ragioniamoci su, rivalutiamo le nostre strategie, rinnoviamo le tattiche con le quali ci siamo approcciati a questa problematica se rileviamo la loro inefficacia, analizziamo a fondo costi e benefici delle nostre decisioni degli ultimi anni, chiediamoci cosa è adesso più opportuno fare, senza contravvenire ai nostri impegni ma anche senza danneggiarci. Tutto questo non rappresenta un crimine.

È semmai la maniera in cui occorre agire e muoversi quando si opera al vertice di qualsiasi organismo. Tanto più quando tale organismo è uno Stato sovrano con il dovere primario di tutelare l'interesse della collettività che vive all'interno dei suoi confini.

Grazie.

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