Politica internazionale

La sua firma sull'attacco a Gheddafi

"Re Giorgio" nel 2011 volle lo sciagurato intervento in Libia. Che noi piaghiamo oggi

Fonte: Portale storico della Presidenza della Repubblica
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La sua firma sull'attacco a Gheddafi

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Re Giorgio santo subito, ma non si può dimenticare che fu proprio Napolitano a suonare la carica per bombardare la Libia. Il vero plotone di esecuzione, prima di quello che ha "fucilato" il Cavaliere, è stato schierato contro il colonnello Muammar Gheddafi. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica nel 2011, spingeva al massimo l'intervento in Libia: "Non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo". Dodici anni dopo il risultato è sotto gli occhi di tutti con un impatto diretto sull'Italia fra migranti (oltre 35mila solo quest'anno) e contratto sfumati già firmati fra l'Eni e Gheddafi.

Il momento chiave è stata la riunione improvvisata, la sera del 17 marzo 2011, al teatro dell'Opera di Roma per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il maestro Riccardo Muti dirigeva il Nabucco quando a New York l'Onu votava la risoluzione per intervenire in Libia. Le spinte di francesi, inglesi e americani erano fortissime. In tutta fretta si organizzò un vertice informale a teatro con il capo dello Stato, il premier Berlusconi, il suo consigliere diplomatico Bruno Archi, Gianni Letta e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il responsabile degli Esteri Franco Frattini era collegato da New York. Allora l'attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, sottosegretario dello stesso dicastero, era fermamente contrario a bombardare la Libia. E non solo lui. Berlusconi ripeteva: "Ho dato la mia parola a Gheddafi, che non l'avrei attaccato. E poi non ha fatto niente, niente". Napolitano con la risoluzione dell'Onu appena approvata e i caccia francesi già in volo insisteva sulla guerra. Archi faceva notare che l'Italia non poteva chiamarsi fuori dalla decisione dell'Onu, ma la cancelliera tedesca, Angela Merkel, non ha partecipato a bombardamenti rimanendo neutrale fin dall'inizio.

Napolitano in un'intervista, anni dopo, chiamò in causa le valutazioni del consigliere Archi, sostenendo che "concordarono anche autorevoli membri presenti del governo, come il ministro della Difesa La Russa" oggi presidente del Senato. Napolitano sosteneva che "Gheddafi sta sfidando il mondo" e "l'Italia non può restare indifferente". L'aspetto più clamoroso riguardò Crosetto, che aveva sempre ribadito la sua posizione contraria ad intervenire contro Gheddafi. Anche lo stato maggiore della Difesa aveva espresso pesanti preoccupazioni sul dopo guerra prevedendo un Paese spaccato in mano alle milizie e la destabilizzazione dell'area che avrebbe provocato importanti flussi migratori, come poi è puntualmente avvenuto fino ad oggi. Al contrario Napolitano sulla guerra diceva: "Si deve fare, tutti la vogliono fare". Crosetto fu letteralmente buttato fuori dalla stanza quando osò sostenere che era una follia. Proprio Napolitano lo invitò a uscire sostenendo che non faceva parte dell'improvvisato Consiglio supremo di Difesa.

L'ultimo a cedere fu Berlusconi nonostante le ritrosie della Lega sempre contraria a bombardare Gheddafi. Il capo dello Stato poteva contare su una sfilza di scudieri del Pd in Parlamento. Pierluigi Bersani sosteneva di avere le idee chiare: "Non siamo bellicisti, andiamo lì per evitare il massacro. Tutto il resto si risolve con la democrazia". E fece votare una mozione che in pratica obbligava il governo all'intervento. Pure Dario Franceschini soffriva sul fuoco a favore della primavera araba. Un'altra pro bombe era Anna Finocchiaro. La capogruppo Pd al Senato suonava la carica: "L'intervento è necessario perché senza un cessate il fuoco delle truppe fedeli al Rais nessuna transizione democratica può avviarsi".

Abbiamo visto come è andato a finire il più grave errore strategico dell'Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale.

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