La politica migliore? Quando resta nel romanzo

Lo scrittore in politica non vince mai. Si perde, si ingaglioffa, finisce per mostrare il suo lato oscuro, piccolo, meschino

La politica migliore? Quando resta nel romanzo

Fateci caso. Lo scrittore in politica non vince mai. Si perde, si ingaglioffa, finisce per mostrare il suo lato oscuro, piccolo, meschino. È un demiurgo che smarrisce la fantasia. Non gli resta che sottoscrivere le parole di Albert Camus: «Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica».

Dante ha governato Firenze come priore per soli due mesi. Fu un fallimento. Si ritrova al centro di una guerra civile all'interno di una guerra civile. I guelfi hanno sconfitto i ghibellini, ma poi cominciano a scannarsi tra loro. Oggi sarebbero di sinistra. I guelfi neri sono ultrapapisti, quelli bianchi sognano l'indipendenza sia da Roma sia dall'impero. Messer Alighieri è schiatta di speziali e tenta un compromesso salomonico per amore della pace. Caccia così da Firenze i capi delle due fazioni. Non importa che il leader dei bianchi sia il più caro amico, l'uomo a cui deve la carriera politica e la chiave d'ingresso nel mondo delle arti. Dante sacrifica Guido Cavalcanti. È la mossa fatale per la sua fazione. Dante non è un leader, i neri più forti si riorganizzano, si riprendono Firenze e spediscono il futuro sommo poeta in esilio. «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui». La vendetta di Dante non sarà politica, ma eterna. I nemici li sbatte all'inferno nei secoli dei secoli. Machiavelli ha scommesso su Cesare Borgia e ha perso, quello che resta è Il principe, che va oltre il tempo e lo spazio e racconta con la lucidità di un maestro di scacchi la natura e l'arte del potere.

La realtà è che la scrittura trova sentieri che la politica non conosce, spazia, scava, scende in profondità, strappa l'anima al suo doppio per sopravvivere e lascia sulle spalle di chi resta il peso del mondo. Foscolo è più misero di Ortis. È per questo che il secondo sceglie il suicidio, perché non può rassegnarsi alla patria perduta. Silvio Pellico perde come cospiratore e vince con Le mie prigioni. Il racconto dello Spielberg costa all'Austria più di una guerra perduta. Le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann sono meno sciagurate della Repubblica di Weimar. Il Sud narrato da Faulkner ha molta più dignità dei reietti confederati che consumano la sconfitta nel livore e nel razzismo. Il saggio sulla lucidità del portoghese José Saramago è il manifesto di chi condanna la cecità del potere con la saggezza della scheda bianca.

Nessun politico italiano è mai riuscito a sbrogliare la questione meridionale, ma il senso di questo male oscuro è ancora lì, profetico e attuale, nelle pagine dei Viceré e del Gattopardo, con tutta l'amarezza di De Roberto e Tomasi di Lampedusa. E il capolavoro politico di Calvino è La giornata di uno scrutatore, quando fa i conti con il Pci dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria.

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