nostro inviato a Bologna
Dallo tsunami ad un refolo di vento lieve lieve, che quasi non si avverte. E pensare che l'Emilia-Romagna è stata la culla del grillismo, Bologna la sua Stalingrado, il cuore del movimento dove Grillo, al primo V-Day in piazza Maggiore nel 2007, cavalcava la folla (50mila persone) a bordo di un gommone, come una rockstar. Adesso, dopo il boom del M5S secondo partito nazionale, i primi sindaci strappati proprio in Emilia-Romagna (Parma, Comacchio), alla vigilia di un voto regionale con un Pd azzoppato da spese pazze e faide tra renziani e sindacati Cgil-Fiom e una previsione di astensionismo mai vista da queste parti, invece dell'euforia domina il timore.
Beppe si è tenuto a debita distanza, un solo post sul suo blog , il minimo sindacale, per sostenere la candidata presidente del M5S, Giulia Gibertoni, ricercatrice precaria. Le personalità più forti e conosciute del M5S in Emilia Romagna, quelli che potevano fare la differenza in questo voto (a lungo si è sognato all'Emilia-Romagna come prima Regione a Cinque stelle d'Italia), sono stati tutti espulsi (da Tavolazzi a Favia alla Salsi al sindaco di Comacchio, Marco Fabbri) o tenuti sotto osservazione come Pizzarotti, il sindaco «dissidente» di Parma. In assenza di nomi forti, con una candidata poco conosciuta, in altri tempi sarebbe stato Beppe Grillo a girare piazza dopo piazza col suo camper, per far volare «i ragazzi» del M5S. Stavolta invece nulla di tutto ciò. I risultati non esaltanti raccolti nelle tornate successive al voto del 2013, fino al «vinciamopoi» delle Europee, hanno fatto riflettere e cambiare strategia. La versione ufficiale, fornita dai parlamentari del cerchio magico, è che la sparizione di Grillo dalla campagna elettorale sia una maturazione del movimento, «non abbiamo più bisogno di balie, siamo autonomi». La versione ufficiosa che ti raccontano da dentro, invece, è un'altra. Grillo si è scottato dopo le Europee e il Maalox per digerire la sconfitta, ma soprattutto dopo le contestazioni nella sua Genova alluvionata (e poi quelle alla senatrice Taverna nelle periferie romane). In Emilia-Romagna, dove il M5S è dilaniato in fazioni, e dove vige un clima di terrore per chi critica i «talebani», fedelissimi di Grillo e Casaleggio come il consigliere comunale Bugani, Grillo non ci è venuto per non mettere troppo la faccia in un voto a rischio flop (in corsa c'è anche una lista, «Liberi Cittadini», patrocinata dagli espulsi del M5S), ma anche per non rischiare contestazioni e critiche personali.
Una lunga assenza spezzata solo poche ore prima del voto, con l'apparizione a sorpresa del leader al Circolo Mazzini, periferia di Bologna, per la cena conclusiva della campagna cinque stelle, ospiti i parlamentari Di Maio (campano) e Airola (piemontese), perché quelli emiliano-romagnoli come la Sarti o Bernini o la Mucci (insieme a Pizzarotti) non hanno supportato la campagna elettorale, in dissenso con le scelte «autoritarie» in fase di selezione dei candidati.
E il Grillo che arriva, a tarda sera, è molto diverso da quello deciso a spazzare via tutto. «Cosa vi aspettate, che prendiamo la Regione? Bisogna cercare di essere obiettivi. Noi se mettiamo dentro quattro o cinque consiglieri è una grandissima vittoria. Non siamo a caccia di una poltrona a tutti i costi. Alcuni meet up hanno lavorato male, si è infiltrato chiunque. Adesso è il momento di fare pulizia». Dal «vinciamo noi», al «se facciamo quattro consiglieri va benissimo».
La linea ufficiale per il dopo voto è già scritta: se si prende più del 7% del 2010 (ma si guarda col binocolo il 24% delle politiche 2013 o anche il 19% delle Europee) va considerato un successo e non un flop, e se ne non si fa meglio la colpa va addebitata ai vari Pizzarotti (massima attenzione al risultato del M5S a Parma) e agli altri «infiltrati». Per loro è già pronto il cartellino di espulsione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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