Prima di partire, telefonano in Italia: «Arriviamo, venite a prenderci». Comunicano la rotta e l'orario di partenza, certi a buon diritto che qualcuno li salverà. Spesso non imbarcano nemmeno il carburante necessario ad arrivare in Sicilia: sanno che non serve. Così i trafficanti di uomini hanno scoperto il modo migliore per introdursi nel nostro Paese. Passando dalla porta principale.
A rivelarlo, in un'intervista al britannico The Daily Telegraph , è Graham Leese, ex funzionario di Frontex: in vista delle nostre navi, gli scafisti si limitano a buttare in mare i disperati che rischiano la vita nella speranza di raggiungere l'Europa. Poi, con i marinai italiani impegnati nelle operazioni di soccorso, tornano in Libia senza colpo ferire. Quando possono recuperano anche le imbarcazioni, non esitando a minacciare i nostri militari. Graham Leese attacca anche Italia e Nazioni Unite, schierandosi a favore della linea del suo governo, da sempre critico verso Mare Nostrum: «Per l'Onu siamo moralmente obbligati a soccorrere le persone in pericolo mentre sono in mare. Questa idea è molto pericolosa perché incoraggia lo stesso processo a cui si vorrebbe porre fine». In Italia, le parole di Leese hanno sollevato una polemica politica, con il governatore del Veneto Zaia che pretende «un'accurata indagine» sulle accuse di Leese e il vicepresidente del Senato Calderoli che chiede al governo di bloccare le partenze dalla Libia.
Nel frattempo, il dramma dell'emergenza immigrazione continua senza soste: dall'inizio dell'anno sono già sbarcate più di ventimila persone. Rispetto a un tempo gli scafisti devono svolgere solo metà del «lavoro». Giunti nel Canale di Sicilia, non resta che aspettare.
Una volta si spingevano fin sotto costa, esponendosi al duplice rischio di un naufragio e dell'arresto da parte delle autorità italiane. Ora bastano una telefonata e poche ore di navigazione, fino all'avvistamento delle navi italiane. Al resto penseranno i soldi di Frontex.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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