Eloisa ad Abelardo: "Meglio essere tua prostituta che imperatrice"

Lo scandalo sexy del Medioevo nelle parole dell'amante ed ex allieva del filosofo

Eloisa ad Abelardo: "Meglio essere tua prostituta che imperatrice"

La storia di Pietro Abelardo, filosofo e teologo, e di Eloisa si svolse a Parigi tra il 1117 e il 1119. Abelardo fu prima maestro e tutore di Eloisa, poi suo amante. Abelardo sposò Eloisa, chiedendo al padre della stessa, Fulberto, di mantenere il segreto sulla relazione a tutela della propria carriera. Ma la famiglia di Eloisa non mantenne il segreto e Abelardo convinse Eloisa a ritirarsi nel monastero di Argenteuil. La famiglia, pensando che Abelardo volesse sbarazzarsi della moglie, lo fece castrare. Gli amanti continuarono la loro relazione attraverso le lettere, Abelardo nella Badia di San Dionigi ed Eloisa nel monastero del Paraclète di Troyes. La lettera qui pubblicata è tratta da Lettere d'amore di uomini e donne straordinari (Piano B Edizioni).

Tu sai, mio carissimo - e lo sanno tutti - quanto ho perduto perdendo te; e come quella disgraziata storia e quel tradimento a tutti noto abbiano strappato insieme a te anche me a me stessa, e come il dolore sia incomparabilmente più forte per il modo in cui ti ho perso che per la perdita medesima. E poi, quanto più profonda è la radice del male, tanto più forti saranno i rimedi del conforto, che non devono venire da nessuno se non da te; e poiché tu solo sei la causa del male, tu solo puoi guarirmi. Tu sei il solo, infatti, che possa affliggermi, e il solo che possa allietarmi o consolarmi. E sei anche il solo a dovermi particolarmente tanto, visto che ho seguito ogni tuo comando al punto che - non volendo in alcun modo arrecarti dispiacere - sono giunta a perdere me stessa, pur di obbedirti. Ma ciò che più conta è che il mio amore fu a condurmi a una follia tale che ha allontanato da sé senza la speranza di poterlo riavere mai più l'oggetto stesso del suo desiderio. (...). E Dio sa che in te non ho mai amato altro che te stesso: che solo te ho desiderato, non ciò che tu possedevi.

Non mi ripromisi patti nuziali, né prerogative di sorta; né, come ben vedesti, mi adoperai a raggiungere voluttà né volontà mie, ma tue. E se più santo e più valido sembra il nome di moglie, il nome di amica mi è sempre stato più dolce, o se non ti sdegni, di amante o concubina: poiché, quanto più mi umiliavo per te, tanto più suscitavo il tuo amore, e tanto meno offuscavo la gloria della tua superiorità. E tutto questo - nella lettera scritta all'amico per consolarlo - non lo hai, bontà tua, dimenticato del tutto; e neppure hai sdegnato esporre alcune delle ragioni con cui ho cercato di distoglierti dagli infausti talami di una nostra unione; ma hai taciuto la maggior parte delle ragioni per cui preferivo l'amore al matrimonio. Chiamo Dio come mio testimone: se lo stesso Augusto signore del mondo intero mi avesse degnato dell'onore di sposarlo, e mi avesse offerto così il dominio perpetuo del mondo, sarebbe stata per me cosa più cara e degna esser detta tua prostituta piuttosto che sua imperatrice. Perché una persona non è migliore per ricchezza o potere: questo dipende dalla fortuna, quello da meriti personali. E non può non credersi molto venale quella donna che sposa più volentieri un ricco che un povero e più che il marito ama i suoi beni. E una che si sposa per ricchezza non merita di essere amata, ma di esser pagata. Ché di sicuro una donna del genere cerca le ricchezze, non un marito, e se potesse potrebbe addirittura prostituirsi per un uomo più ricco. Cosa dimostrata chiaramente da quella discussione che la filosofa Aspasia tenne con Senofonte e sua moglie, presso il socratico Eschine: discussione che - quando lei si era riproposta di conciliare i due sposi - fu suggellata con queste parole: «Poiché non avete avuto altro ideale che trovare sulla terra un uomo migliore o una donna più amabile, certamente troverete quella perfezione che cercate nel fatto che tu, o uomo, sei il marito della più amabile delle donne, e tu donna, sei la moglie del migliore degli uomini». Opinione davvero santa e più che filosofica: attribuibile, cioè, piuttosto a Sofia che a Filosofia.

È santo quest'inganno e beata l'illusione che tra i coniugi l'amore perfetto custodisca il vincolo matrimoniale non praticando la continenza dei corpi, ma attraverso il vincolo delle loro anime. Ma ciò che per altri è illusione, forniva invece a me una verità manifesta: quello che le altre donne credono infatti di sapere dei mariti, io, e tutto il mondo con me, non solo lo credevo, ma lo sapevo, e il mio amore per te era tanto più vero quanto lontano dall'inganno.

Quale re o filosofo poteva infatti uguagliare la tua fama? Quale regione o città o villaggio non anelava a vederti? Chi, dimmi, non accorreva a contemplarti quando avanzavi in pubblico, o chi non ti seguiva con lo sguardo fisso e con il collo dritto quando te ne andavi? Quale donna, o quale vergine, non ti desiderava nell'assenza? O non ardeva in tua presenza? Quale regina, o quale potentissima dama, non invidiava le mie gioie o il mio talamo?

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