Politica

15 anni di flop: i disastri Pd nel suo compleanno più triste

Il 14 ottobre 2007 nacque il Partito Democratico con le primarie: da Veltroni a Letta, tanti sono stati i contrasti interni e i fallimenti politici. L’ultimo, lo scorso 25 settembre

15 anni di flop: i disastri Pd nel suo compleanno più triste

15 anni e sentirli tutti. Anzi: sentirne molti di più rispetto a quelli che sono scritti sulla carta d’identità. Il Partito Democratico festeggia (si fa per dire) il suo primo decennio e mezzo nel momento sicuramente più complicato della propria esistenza politica. Tra chi lo vorrebbe rilanciare a tutti costi e chi non vedrebbe l’ora di scioglierlo direttamente. E dire che di periodi difficili il Pd ne ha vissuti parecchi. Probabilmente già a partire da quella domenica 14 ottobre 2007, giorno delle primarie che incoronarono Walter Veltroni come primo segretario nazionale di quella fusione a freddo tra Ds e Margherita, ovvero tra ex democristiani ed ex comunisti. Il primo, per l’appunto, di una lunga serie.

Il progetto Pd azzoppato di Veltroni

In quell’ottobre più di 3 milioni e mezzo di elettori del nascente partito si recano alle urne per plebiscitare l’allora sindaco di Roma, con la speranza che possa rappresentare una nuova forza socialdemocratica in grado di contrastare la coalizione di centrodestra. Ma non sarà così.

Al governo c’è Romano Prodi. Tuttavia, anche a causa del progetto veltroniano apertamente dichiarato di un partito a vocazione maggioritaria (in modo da potersi disfare dei partiti più piccoli dell’alleanza e correre da solo), quell’esecutivo dura soltanto pochi altri mesi. Mastella toglie la fiducia al Professore e nella primavera del 2008 si va a elezioni anticipate. Nella netta vittoria di Berlusconi, il risultato in termini assoluti del Partito Democratico non è poi in realtà così disastroso. Si tratta, infatti, del consenso più alto che il Pd riuscirà a collezionare in un voto nazionale: 12.095.306 di voti (33,1%).

Bersani e i 101 contro Prodi

Un anno dopo è già il momento di cambiare leader: dopo Veltroni, dimessosi dopo la sconfitta alle Regionali in Sardegna, ecco l’interregno di Dario Franceschini (suo vice). Giusto il tempo di arrivare a un nuovo congresso che l’attuale ministro della Cultura cederà il testimone a Pierluigi Bersani, altro emblema di una forte carica di entusiasmo per il popolo della sinistra. Più che a lui, però, in quegli anni tutte le speranze degli elettori del Partito Democratico vengono riposte nei confronti di Gianfranco Fini, che proprio tra il 2009 e il 2010 completerà lo strappo con Berlusconi, il cui governo cadrà nel novembre 2011.

Per Bersani arriverebbe l’occasione della vita di diventare presidente del Consiglio, ma Napolitano gli “impone” il professor Mario Monti come governo di salvezza nazionale. Il voto per il rinnovo del Parlamento italiano (rimandato al febbraio 2013), che gli potrebbe regalare Palazzo Chigi, gli si rivelerà beffardo. Niente maggioranza assoluta al Senato per il centrosinistra, schiaffo da parte di Crimi e Lombardi (i due capigruppo dei 5 Stelle) sul sostegno a lui come premier e nessuna possibilità di eleggersi da solo il presidente della Repubblica: la carica dei 101 franchi tiratori anti-Prodi confermeranno Napolitano al Quirinale e accompagneranno ufficialmente Bersani all’uscita dal Nazareno.

Niente riforma costituzionale per Renzi

Pochi mesi e sarà il momento della lunga èra Renzi. La defenestrazione di Enrico Letta come capo del governo, insieme alla promessa (comunque mantenuta) degli 80 euro, lo faranno volare alle Europee del 2014 con lo storico 40,8%. L’apice del proprio successo personale, a conti fatti, rappresenterà l’inizio della lunga discesa verso il basso: sua e di tutto il Partito Democratico, affossatto anche dai contrasti interni con la sinistra bersaniana.

Il progetto renziano del “Sindaco d’Italia” (Italicum + Senato delle Regioni) si schianterà nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016: il quasi 60% del No degli elettori a quella sua riforma istituzionale decreta la fine dell’esperienza di Renzi come presidente del Consiglio. La notte del 4 marzo 2018 (18,8% del Pd alle Politiche) sancirà invece la conclusione della propria segreteria.

Il Conte 2 sotto la guida di Zingaretti

Nel frattempo, il Partito Democratico è sempre rimasto al governo per tutta la legislatura. Paolo Gentiloni, in carica da dicembre 2016 a giugno 2018, passerà poi la campanella al Conte 1, sostenuto da Movimento 5 Stelle e Lega: l’unico esecutivo che non vede la presenza del Pd in maggioranza negli ultimi 11 anni. Ma è un’assenza dal potere che durerà appena 15 mesi, perché nell’estate 2019 il nuovo leader, Nicola Zingaretti, non si lascerà sfuggire la ghiotta occasione di sostituire Salvini nell’esecutivo dopo i contrasti di quest’ultimo con "Giuseppi" e Di Maio.

I dem ritornano nella foto di gruppo dei ministri con l’ingresso nel Conte 2. Renzi, che pure era stato promotore di quella soluzione politica per non far vincere le eventuali elezioni politiche al centrodestra, lascerà il partito pochissimi giorni dopo il giuramento per fondare Italia Viva. Il "picconamento" renziano non avrà sosta per tutto l’anno e mezzo successivo e sfocerà con la caduta di Conte e il conseguente approdo a Palazzo Chigi di Mario Draghi.

Letta chiude il cerchio del fallimento dem

Zingaretti sbatte la porta del Nazareno nel marzo 2021 parlando apertamente di “stillicidio”, di “guerriglia”, di “bersaglio” (lui) e soprattutto di “vergogna” (la sua) per vedere il Pd impegnato a parlare “di poltrone”. Le dimissioni da segretario del presidente della Regione Lazio spianeranno la strada a Letta, di rientro dalla Francia dopo quasi sette anni di assenza dai riflettori della politica. L’ex presidente del Consiglio, dopo i discreti successi alle Comunali, sbaglia però tutte le strategie possibili durante la recentissima campagna elettorale per le Politiche del 25 settembre. L’ennesima disfatta dem è inevitabile (5.356.180, per il 19% dei consensi); l’annuncio di un imminente passaggio di consegne, anche. E questa volta si tratta di un record storico negativo per la sinistra.

Nel 2023 ci sarà un decimo esponente dem alla guida del partito in appena 15 anni di storia. Se Agatha Christie potesse scrivere un altro romanzo giallo, probabilmente non avrebbe dubbi su dove ambientare la storia.

Del resto, da “Dieci piccoli indiani” a Dieci piccoli segretari del Pd” il passo è molto breve.

Commenti