Cronache

Da 27 anni guida Balocco: "Ma non so fare i dolci. Ora divento pasticcere"

Lancia l'azienda di famiglia a 170 milioni di fatturato. E vuole realizzare un sogno

Da 27 anni guida Balocco: "Ma non so fare i dolci. Ora divento pasticcere"

Fossano (Cuneo) - «A 23 anni mi sono trovato a mandare avanti un'azienda che fa dolci e a 50 non sono ancora capace a fare il pasticcere. È una cosa buffa. Eppure, il mestiere di pasticcere, anch'io come mio nonno, lo sognavo fin da piccolo». A pronunciare queste parole è Alberto Balocco, presidente e amministratore delegato della Balocco spa, l'azienda dolciaria di Fossano - 25mila abitanti in provincia di Cuneo - che dà lavoro a 500 persone. Nato e cresciuto tra mandorle, uvetta e zucchero Alberto Balocco - detto Bebe - tutto sa di marketing, comunicazione ed espansione dei mercati, si è accorto che a mancargli è proprio il fatto di mettere «le mani in pasta», per realizzare il prodotto che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Un cruccio non da poco per Alberto, manager dai modi gentili e dal sorriso aperto, che lo ha portato a «confessare» questa colpa in un libro, primo passo per realizzare il suo desiderio di bambino. Scritto con il giornalista Adriano Moraglio per Rizzoli, il libro si intitola, non a caso Volevo fare il pasticcere. Un sogno che per secoli si è tramandato di padre in figlio ma che solo l'attuale presidente non è riuscito a realizzare. Almeno per ora. «Il signor Balocco», Toni Balocco, quello che nella pubblicità controlla i dolci, regala biscotti ai bambini e raccomanda: «Fate i buoni», nella seconda meta dell'Ottocento, nella sua drogheria, ha iniziato a produrre memorabili bonbon ripieni di liquore. Poi il sogno è passato al figlio Francesco Antonio, conosciuto nella piccola cittadina come «quell'anarchico di un Tonio», che è partito poco più che bambino alla volta delle migliori confetterie torinesi per imparare il mestiere e, una volta tornato a casa, ha aperto prima una, poi una seconda pasticceria. Arrivando a suo figlio Aldo che, subito dopo la guerra, ha trasformato il laboratorio del padre in un'attività industriale.

A raccontare la loro storia, è Alberto Balocco che, giovanissimo ha preso il timone dell'azienda insieme alla sorella Alessandra. Per andare ancora più lontano, facendo però un passo indietro e tornare là dove tutto è nato, ossia in un laboratorio di pasticceria. Perché il suo sogno di bambino, di fare il pasticcere, Alberto Balocco lo vuole realizzare a tutti costi: «I sogni - spiega - sono fondamentali. Nel mio lavoro non ho un rapporto diretto con il cliente. Lavorare a un dolce e poi venderlo direttamente alle persone è tutta un'altra cosa. Ma avrò la mia occasione: mi prenderò un mese sabbatico per fare l'apprendista pasticcere a Eataly World a Bologna, dove apriranno 40 minifabbriche, tra cui anche la Balocco. Cercherò di essere un buon allievo, speriamo mi promuovano».

Negli ultimi anni la sua azienda ha raggiunto un fatturato di 170 milioni di euro e vanta un'espansione crescente nel mercato internazionale. «La sfida dell'internazionalizzazione - commenta il presidente - non è semplice e il successo dipende da un fattore socio-culturale non trascurabile: la colazione come la intendono gli Italiani, con latte e biscotti, è un'abitudine che all'estero non esiste». Il segreto di tutto questo successo? Lo svela nel libro: «Alla Balocco non ci sono padroni e dipendenti. Sono nato negli anni Sessanta e ricordo la contestazione, il terrorismo. In realtà un'impresa che funzioni è quella che ha come unico padrone il consumatore. Tutti coloro che lavorano nell'azienda sono proprietari dell'azienda. Condividono gli stessi obiettivi: crescere e produrre il meglio per il loro comune padrone: il cliente».

Il libro di Alberto, è anche la storia di una crescita interiore: dal «ragazzotto» che, in pieno boom economico, «pure lavorando tanto, dormendo poco e avendo grane fin sopra i capelli..., va a mangiare con gli ex commilitoni nella caserma dei carabinieri di Fossano», all'imprenditore che, in viaggio in Usa con la famiglia, perde sonno e appetito per i problemi di avvio del nuovo impianto di produzione in cui ha investito 10 milioni. Volevo fare il pasticcere si chiude con queste parole: «Dentro le preoccupazioni, dentro l'impegno sempre vivo, a spronarti a continuare è la coscienza che altri, prima di te, hanno rischiato tutto. Hanno avuto il coraggio - un coraggio autentico, puro, sincero - di avere paura».

Parole non di un visionario, come si definisce lui, ma di un uomo che ha raggiunto il successo percorrendo la strada tracciata dalla sua famiglia e lo ha fatto senza perdere valori e umiltà.

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