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Adonis: "L'islam non cambia È violento e umilia la libertà"

Il grande poeta siriano: «È una religione in cui l'uomo non ha niente da dire, può solo imitare e ogni creatore è un apostata. L'Isis è il segno del suo declino»

Adonis: "L'islam non cambia È violento e umilia la libertà"

Giuseppe Conte: «A Bruxelles si è consumato un altro attacco terroristico all'Europa da parte dei terroristi dell'Isis. Ancora una volta immagini strazianti, cadaveri, esseri umani insanguinati in fuga tra nuvole di buio e di polvere. In quanto grande poeta e intellettuale arabo, qual è stata la sua reazione?»

Adonis: «Mi sono sentito triste e (lieve esitazione della voce, quasi un colpo di tosse) arrabbiato. Sì, arrabbiato di fronte a una forma di violenza cieca, che fa strage di innocenti. Ho sentito come un senso di impotenza davanti a fatti così sanguinosi, all'evidenza che non si può cambiare niente, mentre tutto andrebbe cambiato».

G.C.: «Lei ha parlato con molta forza dei legami tra la violenza e l'islam, che è poi il titolo del suo ultimo libro uscito in Francia e subito tradotto in Italia. Vuole precisare l'entità e la natura di questi legami?»

A.: «Devo dire che nell'islam ha continuato a prevalere una mentalità arcaica, tribale. Non è avvenuta nessuna rivoluzione verticale, che mettesse in discussione i rapporti tra stato e religione, tra uomo e Dio. Da noi, nel mondo arabo, si sono conosciute piuttosto delle cosiddette rivoluzioni dal carattere politico politicante. In sostanza: si cambia un regime per metterne su un altro. Si abbattono dittatori senza avere poi un progetto autenticamente democratico per il futuro. Da lì il fallimento delle primavere arabe e da lì (la voce si alza, sta per parlare del suo paese natale, oggi martoriato) la rovina della Siria, dove è evidente che non basta cacciare via Assad.

G.C.: «Abbiamo tante volte parlato, nei nostri incontri a Parigi, in Marocco, in Giordania, in Italia, della poesia, dell'amore per la vita, del piacere, di fronte a qualche ottima bottiglia di Brunello di Montalcino o di Sancerre: ma anche della necessità di un rinnovamento totale delle società arabe, di una rivoluzione che abbia la portata della Rivoluzione francese. Che cosa impedisce un cambiamento radicale nell'islam?»A.: «Per l'islam, l'uomo può solo imitare: Dio o il Profeta. Il solo creatore è Dio, Dio ha già detto tutto, l'uomo non ha niente da dire. Ogni creatore è un apostata. La condizione dell'uomo, nell'islam, è definitiva. Non se ne può uscire. Non si può cambiare».

G.C.: «Nella tradizione occidentale, un poeta come Tasso, della cui ortodossia la chiesa cattolica diffidò molto, sostenne che il nome di creatore si addiceva soltanto a Dio e al poeta».

A.: «Secondo il vostro umanesimo, nella sua ultima versione che è quella dell'esistenzialismo, l'uomo diventa uomo. Nell'islam, tutto è già stabilito e niente può e deve essere cambiato».

G.C.: «Tornando al terrorismo e all'Isis, c'è qualche altra radice da cogliere, oltre a quella che affonda nella religione islamica intesa in maniera apocalittica? Io non riesco a capire se i giovani combattenti dell'Isis che si sacrificano facendosi esplodere per uccidere quelli che loro considerano nemici peccano di nichilismo o di qualcosa di egualmente micidiale, l'eccesso di fede, la fede assoluta nella propria causa votata al dominio del mondo. A me capitò ad Amman, alla Grande Moschea, di essere apostrofato aggressivamente da due fedeli che sostenevano che l'islam deve dominare il mondo».

A.: «È complicato vedere il rapporto tra Eros e Thanatos nei giovani kamikaze. L'Isis è in sé una macchina di sterminio, i giovani fanatizzati, che spargono morte facendosi saltare in aria, credono davvero che per vivere bene bisogna morire. Sono convinti che la loro fine è la porta per una vita eterna piena di delizie e di amore».

G.C.: «Nella cultura araba esiste il rapporto con l'altro? L'altro in Occidente è un orizzonte verso cui tanti hanno guardato. Tra i poeti, Rimbaud, che certi dissero convertito all'islam e che lei ha studiato e analizzato come mistico, e Borges. L'altro è rispetto della pluralità di concezioni della vita, amore della scoperta e dell'infinito».A.: «Io credo che l'altro non esista per le grandi religioni monoteiste proprio in quanto tali. Ma va detto che tra le tre grandi religioni monoteiste oggi ci sono differenze, se non di natura, certamente di grado nel loro opporsi alla pluralità, al politeismo delle idee, e quella più intollerante e guerriera è senza dubbio l'islam. Perché nell'islam l'uomo è creato per la religione, e non la religione per l'uomo».

G.C.: «E la figura della donna? Lei ha dedicato un poema alla schiava Hagar, io un romanzo alla adultera del Vangelo di Giovanni, entrambi andando alle radici della libertà della donna».

A.: «L'universo è femminile. La libertà della donna è la più grande battaglia nelle società arabe. I poeti, i mistici, i filosofi lo hanno sempre saputo e hanno scritto di amore e di donne, trasgredendo la lettera e il dogma dell'islam. Non c'è un vero poeta credente nella nostra tradizione, da noi non sarebbero possibili un Mario Luzi o un Paul Claudel, cattolici e grandi artisti».G.C.: «L'Isis sta vincendo la sua guerra? Qualcuno da noi lo teme».

A.: «L'Isis non cade dal cielo. C'è un filo conduttore che va dall'Afghanistan in lotta contro l'Unione Sovietica a Bin Laden, ai Talebani e sino a oggi. Questi criminali sono finanziati e armati da potenze non solo mussulmane che agiscono attraverso la Turchia. L'Isis nasce dalla nostra storia, dalla sua parte più oscura, e non è un segno di forza dell'islam, tutt'altro, è il segno del suo declino (ripete la parola, la sottolinea)».

G.C.: «Cosa può fare l'Europa?»

A.: «La crisi dell'Europa è prima di tutto culturale. I suoi intellettuali devono cambiare. La loro visione è fondata sull'esistente, legata al potere, senza funzione critica, niente che ricordi un Sartre, un Aron, un Camus. L'Europa deve la sua grandezza ai diritti dell'uomo, alla libertà, alla democrazia, all'apertura all'altro».

G.C.

: «E alla poesia Lei ha scritto di non sentirsi Ulisse, che alla fine era uno che voleva tornare a casa. Io condivido il suo sentire».

A.: «Ulisse (ride). Essere poeta oggi vuol dire vivere e morire in uno stato di ricerca. Non c'è Itaca per noi, ma un viaggiare tra eterne domande».

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