I tanto attesi stress test sulla capacità di tenuta, anche in caso di forte recessione, delle banche europee sono arrivati venerdì scorso in serata, a Borse chiuse. E, da una prima analisi, confermano la solidità degli istituti di credito del Vecchio Continente e, dell'Italia in particolare: quattro banche promosse (Intesa, Unicredit, Ubi e Banco Popolare) su cinque e l'ok della Bce al piano di ristrutturazione per quella respinta: il Montepaschi. Piazza Affari, scongiurata l'incognita del credito, potrebbe quindi tirare un sospiro di sollievo. Restano però altre insidie, a partire dal contraccolpo della Brexit e della volatilità che si abbatte sui listini ogni qualvolta il terrorismo internazionale rialza la testa. Ecco perché molti italiani continuano a restare alla larga dalle asset class ritenute più rischiose (come le azioni). Tuttavia, pur dando la priorità alla preservazione del capitale, è possibile individuare occasioni di investimento che, senza stravolgere il profilo di rischio complessivo del portafoglio, consentono di aggiungere rendimento. Ecco allora una guida per capire dove è possibile trovare riparo dalle intemperie dei mercati e dove invece c'è spazio per incrementare la prospettiva di guadagno.
Promosse auto e tlc: banche, balzo del 10% - Se, come tutto lascia supporre, gli investitori internazionali valuteranno positivamente gli esiti degli stress test, puntare sui titoli delle banche europee e su quelle italiane in particolare potrebbe rappresentare un'occasione di investimento interessante a breve termine. Ci sono infatti i presupposti per un recupero anche del 10% in poche settimane (o, addirittura, in poche sedute di Borsa) alla luce delle forti perdite accusate dal settore da inizio anno. Meglio, però, non esagerare e dedicare solo una quota del portafoglio azionario a questo settore per evitare brutte sorprese. Un altro comparto finora molto penalizzato in Borsa è quello automobilistico che, stando alle prime semestrali, sembra aver tenuto molto meglio delle previsioni. Gli analisti guardano poi con buone prospettive di ritorno nell'arco di 12 mesi ai titoli dei gruppi tlc, che stanno tornando a una buona redditività. Molto interessanti poi sia il settore tecnologia che quello biotech, che hanno sofferto nei primi mesi dell'anno ma che stanno evidenziando ottimi dati di bilancio sia per sotto l'aspetto dei profitti che dei flussi di cassa. Neutrale invece il giudizio sui settori petrolifero, assicurativo e industriale: in tutti e tre esistono opportunità di investimento ma si tratta di singole società che sono da selezionare attentamente per evitare compagnie che, al contrario, stanno accusando la congiuntura. Meglio evitare, infine, i settori alimentare e i beni di consumo di prima necessità e le utility: ai prezzi attuali sono piuttosto cari.
Il 30% affidato al dollaro con un cocktail di franchi yen e valute emergenti - Il mercato valutario è tra quelli dove i timori degli investitori potrebbero farsi sentire maggiormente, malgrado l'archiviazione dei temuti stess test alle banche Ue. Come si è potuto constatare, infatti, con la Brexit, mentre gli scossoni sui mercati obbligazionari e, in parte, su quelli azionari tendono a ricomporsi in qualche settimana, le variazioni nei cambi permangono: la sterlina ha perso il 10% dalla Bexit ed ha continuato a indebolirsi nelle ultime sedute di Borsa. In pratica non basta più la regola di applicare al portafoglio una diversificazione valutaria rispetto all'euro almeno del 30%, ma occorre arrivare al 50%, per garantirsi un maggiore ombrello di copertura dalle possibili tempeste. Le divise estere da privilegiare sono il dollaro Usa, il franco svizzero e lo yen giapponese. Al biglietto verde occorre attribuire il peso maggiore in portafoglio (fatto 100 il totale in valuta estera, al dollaro dovrebbe spettare circa un terzo) perché dovrebbe essere destinata a rivalutarsi nei prossimi mesi rispetto all'euro (almeno del 5% se non del 10%). Un 10% del portafoglio valutario ciascuno al franco svizzero e allo yen, mentre il restante 50% dovrebbe essere frazionato in Etf e fondi monetari in corone svedesi, corone norvegesi, renminbi cinesi e in un paniere di divise emergenti. Una formula di questo genere ha permesso non solo di attutire le recenti turbolenze delle Borse ma anche di guadagnare: l'1% circa nei primi due mesi dell'anno e quasi il 3% subito dopo il referendum britannico del 23 giugno.
Bene i Treasury Usa e Btp da mantenere Meglio l'oro dei Bund - Gli stress test sulle banche non hanno aggiunto ulteriori tensioni ma la voglia di sicurezza dei risparmiatori resta piuttosto elevata (anche a seguito degli atti terroristici e della Brexit). Tuttavia, la corsa verso i titoli ritenuti «sicuri» deve fare i conti con l'attuale contesto dei tassi di interesse della zona euro, schiacciati sui minimi storici. In questo scenario, la prima scelta, nell'ambito dei Titoli di Stato, per qualsiasi tipologia di risparmiatore sono i Treasury Usa, i governativi americani. In essi si concentrano tre qualità molto ricercate dagli investitori: la solidità dell'emittente (gli Stati Uniti) che garantisce il capitale; un rendimento comunque positivo sebbene ai minimi storici (il Treasury decennale paga l'1,45% contro il -0,12% del bund tedesco); il fatto che si tratta di titoli espressi in dollari, la valuta che dovrebbe apprezzarsi sull'euro sia per i flussi di acquisto degli investitori internazionali sia per le aspettative di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve. Meglio stare alla larga, invece, dai bund tedeschi che, sebbene siano considerati «un porto sicuro» offrono un rendimento negativo: in pratica si paga lo stato tedesco per possedere i titoli in portafoglio. Quanto a Bot e Btp, si possono mantenere in portafoglio perché offrono un minimo di rendimento e beneficiano del supporto degli acquisti da parte della Bce. In alternativa ai bund tedeschi si può investire un 5% del totale in Etf in oro che non paga interessi, ma è un bene solido che difende dalle turbolenze dei mercati.
Tornano di interesse i bond bancari - Il fatto che le prove sotto sforzo sulle banche europee abbiano fornito riscontri piuttosto positivi, consente ai risparmiatori di disporre di una risorsa in più con la quale diversificare i portafogli obbligazionari, anche nel caso di investitori che prediligono asset «sicuri». Infatti, dedicare una quota (tra il 10% e il 15%) a Etf o fondi specializzati sulle obbligazioni bancarie può rappresentare un valido complemento ai Titoli di Stato. Più in generale, si può puntare sui bond di più alta qualità (rating investment grade) che beneficiano del programma di acquisti della Bce e, anche durante la crisi post Brexit, hanno mantenuto le quotazioni senza scossoni. Le obbligazioni di qualità inferiore (rating non investment grade) pur non beneficiando direttamente del supporto Bce, godono di flussi consistenti da parte di investitori (sia istituzionali che retail) alla ricerca di maggiori rendimenti: i titoli high yield Europa pagano attualmente in media il 4,4%. Ancora meglio gli high yield Usa che arrivano al 6,4% e che, essendo espressi in dollari, permettono di ricavare guadagni extra dall'attesa rivalutazione del biglietto verde.
Stesso discorso per il debito dei Paesi emergenti, acquistati dagli investitori perché ritenuti una asset class relativamente immune alle problematiche politiche che investono il Regno Unito e l'Europa. Meglio però privilegiare i titoli in valuta forte (in dollari in primis) che sebbene rendano di meno (4,6%) rispetto a quelli in valuta locale (6%) sono meno volaliti.
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