Air India, la strage del pilota depresso

Il comandante aveva preso un congedo per salute mentale. L'ipotesi: gesto volontario

Air India, la strage del pilota depresso
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Aveva preso un congedo per depressione il 56enne pilota indiano Sumeet Sabharwal, comandante del Boeing 787 Dreamliner di Air India diretto a Londra ma precipitato lo scorso 12 giugno ad Ahmedabad, poco dopo il decollo, uccidendo 260 passeggeri. L'aereo era integro, ha decretato il rapporto preliminare sull'incidente, come ammesso dall'ad della compagnia, Campbell Wilson: "Non sono stati riscontrati problemi con la qualità del carburante né anomalie durante la corsa di decollo, i piloti avevano superato il test obbligatorio con l'etilometro prima del volo e non erano state segnalate anomalie relative al loro stato di salute" recita una nota. Per cui gli investigatori hanno rivolto le loro attenzioni su chi in quella cabina ha dialogato fino ad un attimo prima di schiantarsi.

Le registrazioni hanno conservato questo botta e risposta tra i due piloti: "Perché hai spento i motori? No, non l'ho fatto io". E allora i primi accertamenti condotti dall'Aircraft Accident Examination Bureau dell'India hanno rilevato che l'interruttore di sicurezza del carburante era stato azionato tre secondi dopo il decollo, ma così facendo i motori sono stati subito spenti. Di lì la picchiata fatale. Il dubbio è se intenzionalmente da Sabharwal o meno. Il pilota aveva all'attivo più di 15mila ore di volo, per cui non difettava certo di esperienza, ma negli ultimi quattro anni si era allontanato volontariamente dal volo. "Aveva preso un congedo per malattia" dopo la morte della madre avvenuta nel 2022, ha raccontato alla stampa inglese Mohan Ranganathan, uno dei massimi esperti indiani di sicurezza aerea e più recentemente il pilota aveva anche pensato di lasciare il volo e chiedere il prepensionamento, al fine di accudire l'anziano padre, come dichiarato ufficialmente da un portavoce di Tata Group, proprietario di Air India.

L'Associazione indiana dei piloti commerciali però non crede al gesto volontario e difende le azioni dell'equipaggio, affermando che avevano seguito regolarmente le procedure standard e l'addestramento ricevuto. Di qui l'approfondimento delle investigazioni tecniche sulle due scatole nere che sono al vaglio degli inquirenti il cui lavoro è tutt'altro che finito, dal momento che il governo di Nuova Delhi ha chiesto un supplemento di indagini proprio sugli interruttori di alimentazione del carburante installati sui Boeing registrati in tutto il Paese, inclusi i 787 e i 737. La decisione nasce dal fatto che il flusso di cherosene ai motori è stato interrotto poco dopo il decollo del 12 giugno, causando una improvvisa perdita di potenza di entrambi i motori: lo dice il rapporto del Bureau indiano per gli incidenti aerei che punta a fare luce sulla risposta fornita da Sabharwal, ovvero "non l'ho fatto".

Per questa ragione intende chiarire se, al di là della depressione del pilota, ci possa essere anche una motivazione tecnica alla base della tragedia. E' stato lo stesso ad della compagnia Wilson, come riportato dal Wall Street Journal, a definire la storia un "ciclo di teorie, accuse, voci e titoli sensazionalistici". Di qui la sua volontà di voler attendere la conclusione delle indagini prima di consegnare ai parenti delle vittime il colpevole ufficiale. Due i voli del passato che fanno da precedente a quello precipitato un mese fa in India.

Il Germanwings 9525 caduto nel 2015 perché il copilota Andreas Lubitz era gravemente depresso e aveva intenzionalmente impattato sulle Alpi francesi, uccidendo tutti i 150 passeggeri e il SilkAir 185 nel 1997 in Indonesia, che quasi certamente è caduto per il possibile suicidio del pilota.

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