"Aiutatemi, sono profugo...". Porte in faccia dalle chiese

L'accoglienza nelle parrocchie si scontra con gli imbarazzi e i problemi burocratici. E Bagnasco (Cei) prende le distanze: "No alle iniziative personali da parte dei preti"

Cronista del Giornale si finge profugo
Cronista del Giornale si finge profugo

Bussate e vi sarà aperto. Mica tanto. L'appello del Papa alle parrocchie per accogliere una famiglia di profughi qui, a Milano, deve fare i conti con un nemico insuperabile: la burocrazia. Per dare rifugio ai rifugiati, infatti, non basta la volontà «sacra» dei preti, ma ci vogliono anche i permessi «profani» degli apparati comunali. Autorizzazioni che, al momento, non ci sono. E difficilmente potranno esserci in futuro, considerato le chiese dotate di ambienti idonei per dare alloggio ai migranti sono pochissime. Del resto anche Consiglio episcopale diocesano presieduto dal cardinale Angelo Bagnasco è stato chiaro: no ad iniziative personali di accoglienza dei migranti da parte di parroci, direttori di santuari o istituti religiosi in attesa delle direttive della Prefettura che stabilirà modi, tempi e numeri per rispondere all'emergenza in atto.

Anche per questo nel nostro tour tra le parrocchie della città - nelle «vesti» di un profugo a caccia di ospitalità - ci siamo imbattuti in tanta solidarietà che però non si è mai tradotta in una vera e propria accoglienza. Il viaggio della speranza comincia dalla parrocchia di San Girolamo Emiliani in via don Calabria. Con una coperta addosso e le infradito ai piedi ci sediamo sulle scale del sagrato. Dopo pochi minuti una signora ci porta un panino e ci invita a parlare con il parroco: «È una persona di cuore, qui vicino ci sono le stanze dell'oratorio. Vedrai che un posticino per te riesce a trovarlo...». Ma il cancello dell'oratorio è chiuso e il parroco «non é in sede». Ci spostiamo nella vicina parrocchia di San Leone Magno in piazza Udine (adiacente al convento dove abita Suor Cristina, la famosa cantante), ma qui una monaca ci dice di «non aver ricevuto dai superiori nessuna disposizione a riguardo». Dal Vicariato non risulta infatti essere partita nessuna «circolare» ufficiale per i preti in tema di «accoglienza dei profughi». Decidiamo di volare alto e «bussiamo» addirittura al portone della chiesa più importante di Milano: il Duomo. Ma qui non riusciamo neppure a entrare. Un addetto alla sorveglianza (con a fianco un poliziotto e un soldato) ci allontanano consigliandoci di «rivolgerci alla Caritas».

Eppure, all'indomani dell'appello del Pontefice, il cardinal Scola era stato tra i primi a dire che le «sue» chiese avrebbero aperto le porte ai migranti. Percorriamo tutto corso Vittorio Emanuele e arriviamo dinanzi alla chiesa di San Babila. Qui, all'ingresso del tempio, a dirci di «andar via é però il rom “titolare” dell'area del sagrato sottoposta evidentemente anch'essa al rigido controllo del racket del l'elemosina. Risaliamo sul metrò e raggiungiamo la chiesa di San Francesco in zona De Angeli. Chi meglio dei discepoli del poverello di Assisi potranno aiutare un poverello venuto da lontano? Speranza vana. Il sagrestano usa modi spicci e dice che, «al massimo può darci qualche abito usato», ma di ospitarci non se ne parla minimamente: «Anche volendo, non abbiamo posto». Una refrain che si ripete anche nelle altre tre chiese (due in zona Fiera e una a Lampugnano) cui ci rivolgiamo. A fine giornata (avendo raccolto solo la miseria di un panino «solidale» e di qualche straccio usato) incontriamo don Luigi, giovane aiuto parroco della parrocchia in zona Giambellino.

Lui, riguardo l'appello del Pontefice, ha una tesi particolare: «Guarda che le parole di Francesco sull'accoglienza ai rifugiati, più che a noi uomini della chiesa, che già facciamo tanto per i bisognosi, sono rivolte provocatoriamente al mondo della politica: che finora é stato alla finestra, ma che resta l'unico che ha gli strumenti reali per affrontare efficacemente il problema. Tutto il resto é demagogia».

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