Milano«In famiglia eravamo una squadra, forse quello che lui desiderava e non poteva avere» sussurra papà Carlo allontanando lo sguardo per nascondere l'emozione. «Un po' di tacco, un po' di trucco, sorridere, ringraziare e salutare: era questo il motto mio e di mia figlia» abbozza per un attimo mamma Paola. Carlo e Paola Pelizzi, 53 e 51 anni, lunedì notte hanno perso il loro bene più prezioso, l'unica figlia Alessandra, 19 anni, trascinata nel vuoto in un volo di nove piani dall'ex fidanzato Pietro Maxymilian Di Paola, un ventenne che non accettava la fine della loro relazione. E che in un a lettera agghiacciante ha spiegato di aver programmato tutto, di voler far soffrire la ragazza come lei, troncando la loro relazione, lo aveva ferito. La notizia ha avuto uno scalpore che i Pelizzi non accettano, che non hanno cercato e che tuttora rifiutano. Tuttavia sono usciti dal loro silenzio dopo che qualche analisi psicologica spicciola e troppo generica, scritta su un organo di stampa e riportata accanto anche alla foto della figlia, ha ritratto la loro ragazza per quella che non è mai stata. Dando inoltre un'immagine di loro lontanissima da quello che entrambi rappresentano come genitori. Così hanno preferito chiarire. Una volta per tutte. «Poi, dopo il funerale di sabato (domani per chi legge, ndr ) alla chiesa di Sant'Agostino, in via Copernico, speriamo di essere lasciati in pace. Per cercare di ritrovare la nostra dimensione domestica, anche se non so ancora come faremo» ammette la signora Paola.
La più agguerrita con la stampa è lei, una torinese, che ha gli occhi e il mento di Alessandra e che ieri mattina alle 8, all'obitorio, durante il riconoscimento del cadavere della figlia prima dell'autopsia, ha lanciato un urlo, un grido di dolore che bucava l'anima.
«Mia figlia era una ragazza normalissima - esordisce seduta al tavolo di un bar accanto al marito Carlo con il quale lavora in uno studio di consulenza del lavoro -. E non l'avremmo mai voluta diversa. Era in gamba. Molto. Incredibilmente matura. Tuttavia studiava e si applicava a scuola perché le piaceva. Ha fatto un'ottima maturità che le ha permesso di iscriversi alla facoltà di psicologia della Bicocca senza affrontare il test d'ingresso. Ma Alessandra era soprattutto estremamente entusiasta della vita, era la persona del fare, positiva, indipendente, felice, piena di progetti. Fragile? Ma non scherziamo! Dieci giorni fa abbiamo esaudito un suo sogno e le abbiamo permesso di lanciarsi con il paracadute a Casale Monferrato. Quando le ho chiesto se le fosse piaciuto mi ha risposto che ci sarebbe ritornata sopra subito e che la prossima tappa sarebbe stato il parapendio. Poi, però mamma, voglio fare la muraglia cinese a piedi, lo sai vero ha aggiunto. Ecco, questa era mia figlia».
Paola Pelizzi non vuole parlare di Pietro. «Era il suo primo amore - abbozza il signor Carlo -. Si erano conosciuti due anni fa, attraverso frequentazioni comuni e si erano innamorati. Non ci si innamora sempre della persona perfetta, giusta. Lui era estremamente fragile, ma a casa nostra si è sempre comportato benissimo e anche con nostra figlia. Si, lui e Alessandra si sono voluti molto bene. Tuttavia le loro strade erano destinate a separarsi. Nel febbraio 2013 Pietro salì sul cornicione a scuola, intenzionato a buttarsi nel vuoto e Alessandra andò subito da lui. Più tardi la polizia si complimentò con noi per come nostra figlia si era comportata, per come l'aveva convinto a rientrare, a non compiere un gesto inconsulto. Del resto Alessandra era così. E per questo aveva tanti amici che rappresentavano il suo valore più grande. Adesso infatti, siamo noi, paradossalmente, a dover consolare tutti coloro che ci chiamano per ricordarla. Aspettiamo ora la maestra delle elementari, pensi un po'».
«Mia figlia l'altra sera si è trovata semplicemente nel posto sbagliato nel momento sbagliato - conclude Paola Pelizzi -. Già nel dicembre scorso aveva capito che Pietro non faceva per lei, ma si preoccupava della sua fragilità. Poi rimarrebbe solo mi disse, intenzionata a dargli un'altra possibilità. Che lui non ha saputo o potuto cogliere. Tre settimane fa, così, lo aveva lasciato.
Erano rimasti amici, lui le aveva assicurato che si potevano frequentare senza problemi. Ci abbiamo creduto anche noi. Nessuno poteva immaginare che la sua era diventata una patologia, che era andato oltre. Altrimenti adesso non passeremmo le notti a piangere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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