Da Alfano milanista a Veltroni giallorosso. La fede (calcistica) tradita per la politica

Il Cav: "Angelino juventino, ma a me diceva il contrario". E De Magistris...

Da Alfano milanista a Veltroni giallorosso. La fede (calcistica) tradita per la politica

L'undicesimo comandamento è: non cambierai mai la squadra per cui tifi. Vale per chiunque: si mutano mogli, città e lavori, si sbianchettano case, indole e calligrafie, ma non la propria squadra del cuore.

Ah no. Scusate. Non vale per i politici italiani. Che squadra l'hanno cambiata molte volte per convenienza. L'ultimo di cui si abbia notizia è Angelino Alfano. A cui ieri Silvio Berlusconi, dal palco milanese del teatro Manzoni, ha dedicato un affettuoso pensiero, ricordando la sua capacità mimetica: «Per 12 anni da mio assistente fingeva di tifare Milan. In politica bisogna anche far sapere che si è di un'altra opinione»..

Alfano ha risposto negando («ho sempre tifato Juve e l'ho sempre detto») ma non è importante stabilire chi abbia ragione tra il leader e il suo ex delfino. Molto più divertente ragionare sul come tifo e politica siano due cavalli che tirano in direzioni diverse. E che spesso questo conflitto tra cuore e cervello abbia creato situazioni grottesche, da commedia all'italiana anni Settanta (ricordate il Pippo Franco che in un film di non eccelsa gloria si barcamena tra due curve di uno stesso stadio cambiando ogni volta sciarpa?).

Se sei sindaco di una città che ha due squadre, ad esempio, è difficile cavarsi d'impaccio. Soprattutto in una città come Roma, che vive il tifo in maniera viscerale (più per radio che allo stadio). Virginia Raggi, inquilina del Campidoglio, è nota per sue simpatie laziali, ma sa anche bene che i romanisti sono la maggioranza e quindi all'inizio del suo mandato, nella primavera 2016, a chi le chiese quale fosse la sua predilezione calcistica (domanda che a Roma è fatidica) rispose: «Ho a cuore tutta la città». In odore di falsità. Appena meglio del predecessore Ignazio Marino, uno che tifa per l'Atletico Marte e che è talmente a digiuno di pallone che si presentò a una trasmissione tv, prima di un derby, con una sciarpa giallorossobiancazzurra. Sembrava una furbata, riuscì a scontentare l'intera Urbe pallonara. Ma quell'uomo lo spin doctor lo aveva preso coi punti fragola?

Roma è certamente la città dei più grandi infingimenti tifoidei da parte dei politici. Prendete Walter Veltroni, juventino confesso. Eppure da poco eletto sindaco, nel giugno 2001, si presentò con molta faccia tosta al Circo Massimo per la festa dello scudetto della Roma e indossò una sciarpa giallorossa offertagli dal cerimoniere ufficiale di tutte le (poche) vittorie romaniste, Antonello Venditti. E avrebbe probabilmente fatto lo stesso l'anno precedente, nel 2000, quando vinse la Lazio. Solo che sindaco era ancora Francesco Rutelli, uno che non dovette fingere: laziale lui lo era davvero.

A Napoli di squadra ce n'è una sola. Malgrado ciò il sindaco masaniello Giggino de Magistris non è amato dai tifosi concittadini. Ha ammesso di essere stato interista da giovane ma di essere diventato azzurro da grande, come se fosse una cosa normale. La rabbia dei malfidenti napoletani si espresse quando de Magistris nel giugno 2017 indisse il Maradona day per dare la cittadinanza onoraria al Pibe de Oro: «Lo ha fatto per se stesso», la sintesi del pensiero degli ultrà.

Di fronte a tali esempi di equilibrismo, fa quasi tenerezza la palese sfacciataggine di Emilio Fede.

Nato juventino, cambiò casacca quando il suo adorato Berlusconi divenne il presidente del Milan e ora si dice supporter del Napoli. Il tifo come un taxi, da qualche parte porta. E se non è il posto giusto, l'importante è godersi il viaggio.

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