Allarme di Confindustria: con il green, imprese ko

Orsini contro l'obiettivo di tagliare le emissioni del 90% entro il 2040: "Più costi per 1.100 miliardi"

Allarme di Confindustria: con il green, imprese ko
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«Fissare un ulteriore obiettivo climatico come il taglio delle emissioni di CO2 del 90% al 2040, non fa altro che penalizzare ulteriormente la competitività dell'industria europea, già impegnata ad affrontare un processo di decarbonizzazione che solo all'Italia costerà circa 1100 miliardi nei prossimi dieci anni». Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha ribadito al Giornale l'allarme lanciato a poche ore dalla rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, un bis tutto incentrato sull'impegno a realizzare un ambizioso programma di transizione green che rischia di scaricare i suoi costi su imprese e cittadini.

Certo, tutti vogliono inquinare di meno, ma eliminare i motori endotermici entro il 2035 significa lasciare senza lavoro centinaia di migliaia di persone nel nostro Paese. Aumentare l'efficienza energetica degli edifici, come ben sappiamo dopo la catastrofe Superbonus, costa tantissimo. E se c'è un argomento su cui von der Leyen ha glissato è proprio il finanziamento di questo programma: ha vagheggiato un Fondo per la competitività, ma si è ben guardata dal parlare di debito comune (che poi sarebbero comunque più tasse per rifinanziare i bond comunitari) perché la Germania e i suoi alleati non vogliono.

E quindi? «Occorre prima di tutto valutare gli impatti economici e sociali della transizione ecologica per poi fissare obiettivi raggiungibili in tempi adeguati», prosegue Orsini rimarcando che «scelte ispirate dall'ideologia antindustriale non fanno altro che spingere le imprese a delocalizzare». È un dato di fatto. i Paesi extra-Ue sono più competitivi senza lacci e lacciuoli. Ecco perché il numero uno di Viale dell'Astronomia ha detto al Giornale che «ora serve un cambio di passo introducendo una politica industriale europea di medio periodo, che coniughi lo sviluppo del sistema produttivo con gli obiettivi climatici». Secondo Orsini, «dobbiamo recuperare terreno nei confronti di alcuni nostri competitor globali e per giocare ad armi pari occorre mettere in campo risorse adeguate a quelle stanziate da giganti come Usa e Cina». Ecco perché, prosegue, «riteniamo necessario istituire un fondo Ue per supportare gli investimenti delle imprese, e completare l'unione dei mercati dei capitali per indirizzare il risparmio europeo verso il finanziamento delle transizioni».

La congiuntura, infatti, non è semplice. Basti considerare che i certificati verdi Ets in Italia sono soggetti a piena tassazione Iva e che nel 2023 il costo medio della compensazione di una tonnellata di CO2 è stato di 105 euro, ma gli analisti prevedono che l'avvicinarsi del 2040 possano salire verso quota 150 euro. In Italia l'energia costa più che ai nostri competitor. Nel 2023 il prezzo in Francia era inferiore del 15% al nostro, mentre in Germania dell'11%. Non vale la pena di ripensare seriamente al nucleare? «Certamente», osserva il numero uno di Viale dell'Astronomia. «Servono azioni che lavorino lungo tre direttrici: decarbonizzazione; competitività dei costi; sicurezza degli approvvigionamenti. In poche parole occorre lavorare sul mix energetico, valorizzando tutte le risorse disponibili». Bene quindi le rinnovabili, ma «dobbiamo puntare anche sul nucleare di ultima generazione, valorizzando tutto il potenziale delle filiera industriale nazionale».

In Italia, conclude, «abbiamo aziende eccellenti - leader mondiali in questo settore - che sono costrette ad andare all'estero per fare sperimentazione; dobbiamo tenere presente che il nucleare può contribuire alla decarbonizzazione dell'economia europea, garantendone la stabilità e l'indipendenza. Non a caso, abbiamo inserito questa tecnologia nelle nostre proposte alla neo legislatura Ue».

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