Un altro autogol dopo il Dieselgate. Ed è solo l'inizio

Duro colpo all'industria tedesca. Ma lo scandalo è un assist ai nemici delle quattrouote

Un altro autogol dopo il Dieselgate. Ed è solo l'inizio

Dal Dieselgate al Monkeysgate: non c'è pace per l'industria automobilistica tedesca. Le gravi accuse piombate su Volkswagen (ancora una volta), ma anche su Daimler e Bmw di aver esposto 10 scimmiette e, addirittura, 25 esseri umani sani (in questo caso volontari, come accade per i test su farmaci) a gas di carico per verificare l'effetto dei motori diesel su malattie polmonari e cardiovascolari, rischia di vanificare il lungo lavoro di ripulitura dell'immagine seguito al Dieselgate.

Una brutta storia, rispetto alla quale i tre gruppi nell'occhio del ciclone prendono le distanze, che riporta però alla mente esperimenti crudeli sugli animali che spesso emergono dalle cronache. Qui, secondo le accuse dei media locali, ci sarebbero di mezzo anche essere umani. Se le indagini lo confermeranno e le «cavie» si faranno avanti, a porsi sarà soprattutto un problema etico. È giusto che, in cambio di denaro, una persona accetti un esperimento del genere? Nel caso di farmaci, infatti, il soggetto viene messo al corrente su possibili effetti collaterali che la logica ritiene lontani da esiti fatali o causa di danni permanenti. Invece, la vicenda delle tre case automobilistiche tedesche, che avrebbero finanziato i test, oltre a far riemergere momenti bui del passato, fa pensare che proprio dalle lastre ai polmoni delle «cavie» umane si sarebbero visti gli effetti sull'organismo degli ossidi di azoto.

Non è comunque la prima volta che l'industria dell'auto ricorre all'uomo per migliorare la resa dei propri veicoli. Negli anni Novanta assistetti personalmente, alle porte di Parigi all'interno di un hangar, ad alcuni crash test in cui, al posto di guida delle vetture, erano stati posizionati cadaveri.

Il tutto per accertare gli effetti sull'organismo degli incidenti (scontro frontale, laterale o ribaltamento) e, di conseguenza, migliorare e rendere più efficaci i sistemi di protezione del veicolo. Il manager della Renault, in quella occasione, mi rassicurò dicendo che i test venivano eseguiti con il consenso dei parenti delle vittime i quali avevano voluto mettere a disposizione della scienza il corpo del congiunto, magari perito proprio in un incidente.

Il Monkeysgate, intanto, potrebbe portare alla caduta di altre teste illustri nell'industria dell'auto tedesca, soprattutto se sarà accertato che i vertici delle tre società ne sarebbero stati a conoscenza. Ipotesi che comincia a emergere. Lo scandalo fornisce, inoltre, l'ennesimo assist ai tanti nemici delle quattro ruote, in una stagione dove il problema dello smog è particolarmente sentito, per dare addosso al diesel con l'intenzione di assestare nei suoi confronti il colpo di grazia.

Proprio Volkswagen (il Dieselgate le è costato finora quasi 30 miliardi e non pochi guai con la giustizia Usa), inoltre, si vede in pochi giorni passare dalle stelle alle stalle. E il Financial Times che in una delle ultime edizioni ne esaltava la capacità di aver girato pagina dopo il Dieselgate («...il gruppo, che era sulla strada sbagliata, ora è tornato sul sentiero giusto e continua a combattere per ottenere di nuovo la fiducia dei consumatori») dovrà rivedere la sua opinione.

Il problema, al di là degli importanti aspetti etici, riguarda proprio la fiducia dei consumatori nel settore automobilistico, per buona parte riconquistata, ma che il governo tedesco vede adesso «ancora

una volta danneggiata». Un harakiri, quello di Volkswagen, Daimler e Bmw, nel loro momento di maggior spolvero, pronto ad allargarsi ad altre realtà. Ed è solo l'inizio, come accadde nel settembre 2015 con il Dieselgate.

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