Landini fonda o non fonda un nuovo partito alla sinistra del Pd? Un giorno sembra di sì e il giorno dopo sembra di no. In attesa di capire cosa succederà, ricordiamo al capo della Fiom che dai ruderi di un sindacato difficilmente può nascere una fresca iniziativa politica e in grado di intercettare i malumori dei ceti meno abbienti. Però un tentativo non è vietato, a patto che l'animatore del progetto tenga presente un particolare: esistono già movimenti che occupano l'area rossa senza saperla sfruttare. Ci riferiamo al Sel di Vendola e ai rimasugli di Rifondazione comunista che faticano a sopravvivere.
Ormai la sinistra meno disastrata si aggira nelle vicinanze di Renzi a cui cerca, talvolta riuscendoci, di rompere le scatole. Landini è depositario di vecchie idee, di nicchia, ma sempre di moda in alcuni ambienti. Egli poi è personaggio, sa stare in tivù con disinvoltura, buca il video e si fa notare anche per mancanza di buona educazione: quando prende la parola non gliela toglie più nessuno, non fa pause e sovrappone la propria voce a quella di altri ospiti, soffocandola. Non gli mancano prontezza di riflessi e faccia di tolla. Insomma, ha le caratteristiche per essere apprezzato da una discreta fetta di pubblico.
Però esistono molti però. Gli estremisti di sinistra, tanto per cominciare, nel loro piccolo sono nella stessa situazione della destra. Hanno potenzialmente un vasto elettorato, ma non ce la fanno ad acchiapparlo per colpa loro: si sono spezzettati e hanno perso credibilità. La coalizione berlusconiana invece è stata affettata. La prima fetta l'ha tagliata Casini, la seconda Fini, la terza Alfano e la quarta è in procinto di tagliarla Fitto. Cosicché il salame è quasi esaurito. A Forza Italia è rimasto il culetto. Renzi dispone ancora di un salamone, per ora. Ma c'è qualche dem che già affila i coltelli. Ad esempio Civati e Cuperlo, per citare due nomi. Se Landini fosse all'altezza di persuaderli a dare inizio all'affettamento, e lui stesso persuadesse la base, la più nostalgica della falce e martello, a seguirlo qualcosa di serio accadrebbe di sicuro.
Con una valutazione un tanto al chilo, la sua creatura avrebbe l'opportunità di aggiudicarsi un dieci per cento di voti. Non è poco, sufficiente a raggrumare sotto una unica sigla tutti i massimalisti di risulta. Non c'è dubbio: si tratterebbe di una operazione-chiarezza di cui si gioverebbe l'intero schieramento oggi genericamente di sinistra. Ma attenzione: se si realizzasse, il più felice sarebbe proprio Renzi, che si leverebbe dai piedi un gruppo di scocciatori e avrebbe facoltà di aprire le porte del Pd a un numero imprecisato di moderati attualmente senza tetto perché la casa delle libertà, edificata da Berlusconi, è stata danneggiata dai suddetti Casini, Fini, Alfano.
A questo punto la mappa dei partiti sarebbe così composta: un Pd socialdemocratico tra il 30-35 per cento; un centrodestra restaurato (previsione ottimista) intorno al 20-25 per cento; una Lega circa del 15; un Landini con la dote del 10 e il resto mancia, per i pentastellati declinanti. È evidente che per costituire una maggioranza Renzi e Berlusconi sarebbero poi obbligati ad accordarsi, altrimenti scoppierebbe il caos. Comunque il segretario della Fiom avrebbe il suo partito di incazzati e raggiungerebbe l'orgasmo, come è avvenuto in passato a vari sindacalisti saltati in politica per ragioni alimentari: Cofferati, D'Antoni, Marini, Epifani, Damiano e perfino Polverini.
Non attribuiamo a Landini la forza di
aggregare consensi bastanti per diventare il leader di un movimento del tipo di Podemos (Spagna) e di Tsipras (Grecia): non ci pare che l'Italia sia in condizioni di farsi trascinare in avventure simili. Ma non si sa mai.
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