A volte viene voglia di pensare che perfino la lotta armata e il dolore e le assenze eterne da essa cagionate siano colpa meno grave di questa piccineria da film di Alberto Sordi che Cesare Battisti pensa di doverci ancora ammannire, senza strapparci un sorriso. Di queste amnesie, di queste bugiuole mille volte smentite, di queste contraddizioni, di questi pentimenti a spizzichi e bocconi. E che Battisti in questa eterna fuga da bestiola furba non sia degno nemmeno della grandezza della sua rabbia giovanile, per quanto orribile.
Intervistato dal Gr1 dopo il rinvio di una settimana della decisione dell'Alta Corte brasiliana sulla sua possibile estradizione, il leader del Proletari Armati per il Comunismo condannato in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi, due commessi materialmente, due in concorso con altri, esibisce una resipiscenza poco convinta sulla sua militanza armata di quarant'anni fa: «Come si può essere soddisfatti o fieri di tanta violenza, di tanti omicidi, di tanto sangue, da una parte come dall'altra? La lotta armata è stata un suicidio, non poteva dare risultati per nessuno. E anche indirettamente ho partecipato a idee che hanno portato a una follia, a una via senza uscita». Poi però arrivano puntuali i distinguo: «Fortunatamente sono uscito prima che iniziassero gli omicidi nel mio gruppo», precisa Battisti, che porta anche un testimone, il figlio di una sua vittima, Alberto Torregiani, finito su una sedia a rotelle nel corso dell'operazione con cui un commando del Pac ammazzò il padre, il gioielliere Pierluigi, il 16 febbraio 1979 a Milano: «Io ho una relazione con Alberto Torregiani - si vanta Battisti -. Ci siamo scritti negli anni, l'ho aiutato a scrivere un libro. Io ho lettere di Alberto in cui mi dice testualmente che non ha nessun dubbio sul fatto che io non ho niente a che vedere con la morte del padre».
Un autogol, quello di Battisti. Perché Torregiani, chiamato in causa, a fare il cornuto e mazziato non ci sta: «Se Cesare Battisti ha le prove della sua innocenza, basta solo che lui le presenti al Tribunale brasiliano, alla Corte Federale o ai nostri giudici o anche in televisione, ai media. Le opzioni le ha. Non vedo perché non le usa invece di rompere alle famiglie delle vittime». Quanto all'agguato in cui rimase ucciso il padre, Torregiani riconosce che Battisti non fu l'autore materiale dell'attentato, ma «ha le sue responsabilità». «Conosco sia i nomi che i cognomi dei responsabili e ho visto uno di loro in faccia - dice Torregiani -. Questo però non preclude le sue responsabilità come ideatore e responsabile morale dell'attentato». Circostanza riconosciuta anche dai giudici, che per questo hanno condannato Battisti con sentenza passata in giudicato a 13 anni e 5 mesi, pena poi confluita nell'ergastolo. «Battisti racconta solo balle. Si attacca a tutte queste cose per cercare di spostare l'attenzione, teme l'estradizione e sa che questa volta può succedere».
Il resto del teatrino di Battisti è lo solita pappa di autocommiserazione («si stanno inventando un personaggio che non esiste»), finta nostalgia («l'Italia certo che mi manca, sono quarant'anni, ma potrei tornare come turista, ormai non conosco più nessuno»), pietismo in offerta speciale («certo che ho compassione per le vittime. Io ho 62 anni, ho moglie e figli, ho nipoti, già sono nonno»), complottismo («qualcuno ha voluto portarmi alla frontiera con la Bolivia, è stata una trappola. Era tutto organizzato.
Io qui in Brasile sono accettato, tutti mi vogliono bene») e la consueta protervia («nel plenario dell'Alta Corte brasiliana ci sono diverse voci, molte delle quali sono a mio favore»). Un mix di atteggiamenti passivo-aggressivi tipici di chi proprio non pensa di dover pagare alcunché per le sue azioni e i suoi pensieri assassini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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