Gli amici di Putin nell'Europa dell'Est. L'effetto stanchezza riaccende la Russia

Slovacchia e Ungheria potranno creare problemi al fronte pro-Kiev. Lo Zar incassa, aspetta il voto Usa e spera in Trump. Washington evita lo shutdown ma congela i fondi per l'Ucraina. Biden: "Contate su di noi"

Gli amici di Putin nell'Europa dell'Est. L'effetto stanchezza riaccende la Russia
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Si brinda al Cremlino per la vittoria nelle elezioni in Slovacchia del populista filorusso Robert Fico. Personaggio del quale tutto si può dire fuorché sia ambiguo: ex membro del partito comunista cecoslovacco, poi leader di un partito socialista che ha sempre strizzato l'occhio a Mosca, recentemente virato su posizioni più esplicitamente anti ucraine, inseguendo gli umori di quanti sono disposti a credere che sia sufficiente abbandonare Kiev al suo destino e riavvicinarsi alla Russia per recuperare stabilità e benessere economico. Nella recente campagna elettorale, Fico che nel 2018 aveva dovuto dimettersi da premier dopo che un giornalista (finito assassinato) aveva documentato i suoi legami con la mafia calabrese ha definito «fascista» il governo ucraino e promesso che con lui primo ministro nemmeno un proiettile sarà più inviato a Kiev.

Musica per le orecchie di Vladimir Putin, lietissimo di vedere Fico affiancarsi all'altro filorusso ungherese Viktor Orbán nel ruolo di suo cavallo di Troia all'interno dell'Ue e della Nato. E questo non solo per rendere meno coeso il fronte occidentale che sostiene la resistenza ucraina, ma anche per poter affermare che non tutti gli europei sono allineati con Bruxelles e schierati contro Mosca. Per formare il suo prossimo governo a Bratislava, Fico (che ha ottenuto solo il 23% dei voti e 42 seggi su 150), dovrà guidare una coalizione: conta di portare con sé il partito di centrosinistra Hlas-Sd dell'ex premier Peter Pellegrini (27 seggi) e i sovranisti del partito nazionale slovacco (Sns), i cui 10 seggi concederebbero a Fico una maggioranza parlamentare di 79. La presidente della Repubblica Zuzana Caputova, espressione del fronte europeista uscito sconfitto dal voto di sabato, aveva criticato qualche giorno fa Fico («Qualcuno pensa che la pace si possa ottenere bloccando gli aiuti all'Ucraina, e qui non siamo d'accordo»), ma difficilmente potrà evitare di dare l'incarico al vincitore delle elezioni. L'alluvione di fake news sul web slovacco organizzata da Mosca per condizionare queste elezioni è certamente una brutta storia, ma è ormai storia. Conta il futuro, e con un esecutivo filorusso a Bratislava affiancato a quello di Budapest esso sarà meno roseo sia per Bruxelles sia per Kiev. Anche se le motivazioni che hanno spinto tanti elettori slovacchi a votare per un vecchio amico di Putin sono soprattutto economiche, questo risultato contribuisce a diffondere la sensazione che una parte crescente delle opinioni pubbliche europee dimostri stanchezza verso la politica di sostegno all'Ucraina, con il suo costo doloroso in termini di inflazione che i cittadini sono chiamati a pagare. Gli occhi degli osservatori sono adesso puntati sulle imminenti elezioni polacche del 15 ottobre: anche qui le ricadute della guerra pesano, come ha dimostrato la scelta del governo nazionalista di Varsavia (peraltro uno dei più convinti e generosi sostenitori di Kiev) di bloccare l'importazione di cereali dall'Ucraina per non danneggiare i produttori locali. Il premier Morawiecki, di fronte alle proteste veementi di Zelensky, aveva perfino annunciato uno stop alla fornitura di armi polacche a Kiev, poi rientrato. Tutto questo per intercettare un diffuso malumore di un elettorato impoverito disposto a votare l'estrema destra pur di veder dare la priorità ai propri interessi.

Putin, insomma, può sperare di raccogliere i frutti della propria cattiva politica anche in Polonia. Ma perfino negli Stati Uniti si sentono gli echi del malessere che origina sui campi di battaglia ucraini. Il Congresso americano ha appena votato nuovi fondi federali per evitare il temuto shutdown, ma ha temporaneamente lasciato fuori gli aiuti per Kiev chiesti dal presidente Biden. Una successiva dichiarazione bipartisan di sostegno all'Ucraina ha ridimensionato il problema, ma il segnale resta.

Ingigantito dalla richiesta di un deputato trumpiano di far dimettere il capogruppo repubblicano McCarthy, considerato troppo morbido. Le elezioni del novembre '24 non sono lontane, e ovviamente al Cremlino si tifa per il vecchio amico Donald Trump anche se Biden assicura: «Voglio dire a Kiev e ai nostri alleati europei che potete contare su di noi».

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