Ankara doppiogiochista gioca col fuoco. L'obiettivo: colpire l'attivismo di Mosca

Erdogan, sempre ambiguo con l'Isis, vede come fumo negli occhi le iniziative di Putin. Ma ora rischia grosso

Ankara doppiogiochista gioca col fuoco. L'obiettivo: colpire l'attivismo di Mosca

«L'abbattimento del caccia russo da parte dei turchi rischia di assumere gli stessi contorni degli spari di pistola a Sarajevo che innescarono la Prima guerra mondiale - sostiene Daniele Lazzari, presidente del centro studi Nodo di Gordio -. L'augurio, ovviamente, è che si superi la crisi in nome della lotta al terrorismo jihadista». L'unica certezza è che la Turchia sta giocando con il fuoco. Il nuovo «sultano», Recep Tayyip Erdogan, ha imboccato la pericolosa via del braccio di ferro con Mosca per motivi geopolitici e tattici ben precisi. Il primo è far saltare il banco, che vede sempre più la Russia smazzare le carte della guerra al terrorismo soffiando al riluttante inquilino della Casa Bianca un ruolo guida contro lo Stato islamico. Non a caso Vladimir Putin e il suo ministro della Difesa sono impegnati in questi giorni con gli iraniani, i giordani e gli egiziani in incontri e tour diplomatici per rafforzare la coalizione contro i ribelli estremisti in Siria e i loro sponsor del Golfo. L'alleanza potrebbe non escludere un intervento di terra per spazzare via le bandiere nere. Una mossa che la sunnita Turchia vede come fumo negli occhi timorosa di perdere il ruolo guida nella regione soprattutto a favore degli eterni rivali sciiti di Teheran.

Il caccia russo è stato colpito anche per un altro motivo legato ai raid che probabilmente stava conducendo contro una brigata ribelle turcomanna anti Assad legata a filo doppio con Ankara. Quarantotto ore prima il governo turco aveva messo in guardia i russi per la fuga della popolazione turkmena davanti all'avanzata delle forze governative siriane appoggiata dai loro bombardamenti. Nella zona dove è precipitato il Sukhoi 24 non risultano unità dello Stato islamico.

Resta il fatto che la rappresaglia di Mosca potrebbe arrivare in qualsiasi momento e far esplodere lo scenario mediorientale già micidiale. L'unico a gongolare e a guadagnarci dal braccio di ferro fra un alleato della Nato e la Russia è il Califfo. Le bandiere nere non avanzano più né in Siria né in Iraq cominciando a risentire dei raid americani, russi, francesi e degli altri alleati. Se il fronte trasversale anti terrorismo si sfarina in scontri fratricidi gli uomini neri dello Stato islamico possono riprendere fiato. Il video dei ribelli siriani che sostengono di avere abbattuto un elicottero russo impegnato nelle ricerche dei piloti paracadutati getta ulteriore benzina sul fuoco. Il velivolo è un Mi 8, ma è atterrato dopo essere stato colpito e danneggiato. I piloti ed i corpi speciali russi lo hanno abbandonato in zona di combattimento e sono stati recuperati. In ogni caso un miliziano monta un missile Tow americano con tanto di istruzioni in inglese e spara facendo saltare in aria l'elicottero russo. Purtroppo Ankara è responsabile di avere sempre giocato una partita ambigua nella crisi siriana. Da una parte ha cominciato la scorsa estate a bombardare timidamente le basi del Califfo, che vuole conquistare pure Istanbul. Dall'altra ne ha approfittato per colpire i nemici curdi, che fronteggiano le bandiere nere. Negli anni l'intelligence turca ha lasciato passare 30-40mila jihadisti, che andavano ad arruolarsi con gli oltranzisti in Siria oppure Iraq e continuato ad appoggiare gruppi legati al fronte Al Nusra, costola di Al Qaida. Il risultato, come ha dimostrato la carneficina di Parigi, è che i volontari della guerra santa tornano dai campi di battaglia, sempre passando per la Turchia, per venire a insanguinare le città europee. Per non parlare dell'esodo di milioni di migranti, che fanno tappa nei campi profughi turchi, ma sognano di arrivare da noi. Ankara li usa come arma di pressione, se non ricatto, lasciandoli proseguire verso la Grecia e lungo la rotta balcanica fino nel cuore dell'Europa.

E proprio ieri, nonostante i venti di guerra nei cieli, la fallimentare Unione europea confermava lo stanziamento di 3 miliardi di euro alla Turchia per far fronte alla crisi dei rifugiati.

Forse, prima di staccare consistenti assegni, sarebbe meglio chiedere al «sultano» di Ankara, una volta per tutte, da che parte sta.

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