La sinistra attacca il governo sui costi dei nuovi centri e oggi «scopre» i rischi del «business dell'accoglienza», evocati ieri da Repubblica. Lo stesso business che è finito alla sbarra in diversi processi da nord a sud per reati fiscali e non solo, che hanno coinvolto direttamente o indirettamente soggetti spesso contigui a quel mondo politico. È il risultato di indagini che negli ultimi anni hanno scoperchiato fenomeni di malaffare di cooperative, cioè soggetti che dovrebbero avere uno scopo sociale mutualistico, e che invece hanno lucrato sulle strutture di accoglienza che gestivano. Di fatto guadagnando sui costi sostenuti dallo Stato per consentire condizioni dignitose alle persone sbarcate in Italia. Onlus ammantate talvolta da un orientamento ideologico e politico dalle nobili finalità, che invece avrebbero partecipato ai bandi delle prefetture, vinto l'assegnazione di diverse strutture e messo in piedi reti di business. Il reato più contestato è truffa ai danni dello Stato: si attestano numeri di ospiti superiori a quelli realmente accolti, per gonfiare gli stanziamenti, o si abbassa la qualità dell'accoglienza delle persone, riducendo i costi di gestione.
Ieri davanti alla Corte d'Appello di Reggio Calabria nel processo di secondo grado a Mimmo Lucano, l'ex sindaco di Riace ha voluto mandare una lettera ai giudici per ribadire la sua innocenza. Il Tribunale di Locri aveva già condannato il padre del cosiddetto «modello Riace» a 13 anni e due mesi di reclusione e a 700mila euro di risarcimenti. Ora l'appello, per ribaltare la sentenza: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori - ha scritto Lucano - ma ho sempre agito con l'obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all'accoglienza e all'integrazione di chi fuggiva dalla fame, dalla guerra, dalle torture». I magistrati di primo grado parlavano invece di «una logica predatoria delle risorse pubbliche» asservite agli «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica, e soddisfatti strumentalizzando a loro vantaggio il sistema di accoglienza dei migranti che è diventato un comodo paravento dietro cui occultare le vistose sottrazioni di denaro pubblico».
Ieri ha attaccato il governo e la gestione dell'emergenza anche Aboubakar Soumahoro, deputato del gruppo Misto: «Non è più tempo di fare propaganda sulla pelle degli immigrati per racimolare qualche punto in più nei sondaggi». Soumahoro si trova nel Misto dopo essersi autosospeso dal gruppo Sinistra-Verdi. Un atto dovuto a seguito dell'imbarazzo della stessa alleanza con cui era stato eletto in Parlamento, come simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei migranti. Invece sua moglie, sua suocera ed altre quattro persone rischiano di andare a processo: la Procura di Latina ha chiuso le indagini per reati fiscali, nell'ambito della gestione delle coop che si occupavano di migranti. Soumahoro è sempre stato estraneo a ogni accusa e alle indagini.
Lo strumento della cooperativa era anche quello usato nel «Mondo di mezzo» dal ras delle coop Salvatore Buzzi, che intercettato spiegava che «con i migranti si guadagna più che con la droga». L'inchiesta della Procura di Roma aveva scoperchiato la rete di corruzione che scorreva sotto l'accoglienza dei migranti nella Capitale, attraverso esponenti della classe dirigente sia della sinistra che della destra romana.
Sono trascorsi anni, sono state aperte e chiuse decine di inchieste, ma il business resta appetibile.
L'ennesimo schema è emerso a giugno, nell'indagine della Procura di Ancona che ora accusa una cooperativa di Perugia di truffa aggravata ai danni dello Stato. I responsabili, secondo i pm, attestavano la falsa presenza di ospiti stranieri nei Cas, inducendo in errore la prefettura e ottenendo soldi per migranti che non c'erano.
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