Appendino in Procura tre ore. Quelle telefonate per l'ex portavoce

Il sindaco di Torino sentita come teste: cercò di trovare un posto a Pasquaretta

Appendino in Procura tre ore. Quelle telefonate per l'ex portavoce

Non è raro, purtroppo, che nei casi di estorsione la vittima diventi succube del colpevole, e scelga di fare il suo gioco: sindrome d Stoccolma, insomma. Così forse non deve stupire che per mesi, a Torino, il sindaco Chiara Appendino si sia trasformata in esecutrice dei desideri di Luca Pasquaretta, il suo ex portavoce alla caccia disperata di un nuovo posto di lavoro dopo essere stato indagato per peculato. Alle pressioni di Pasquaretta - ben più che un portavoce, in realtà: a metà tra spin doctor e alter ego - il sindaco grillino non reagì andando in Procura, come sarebbe stato suo dovere di pubblico ufficiale, ma dandosi da fare per soddisfare i suoi desideri.

Anche di questo Chiara Appendino ha dovuto dare spiegazione ieri, quando, raccogliendo al volo la sua disponibilità a farsi interrogare, i pm l'hanno convocata a Palazzo di giustizia. Viene interrogata in veste di testimone, anzi di vittima. «Sono serena, ho chiarito tutto», dice uscendo dall'interrogatorio dopo tre ore. Interrogatorio pregno di contenuti interessanti, se al termine la Procura ha deciso di secretarne il verbale.

L'agitarsi della Appendino in favore del suo portavoce è, d'altronde, già documentato nelle carte che la Procura ha raccolto nei giorni scorsi. Secondo quanto riferito ieri dalle pagine torinesi del Corriere della sera, per ben sei volte il sindaco avrebbe fatto pressioni dirette o indirette per ricollocare il suo collaboratore. Non si trattava, per la Procura, di aiuti disinteressati ad un amico in difficoltà, ma della conseguenza diretta delle minacce che Pasquaretta aveva fatto pervenire al sindaco attraverso due assessori della sua giunta. Sono le chiamate intercettate dai carabinieri in cui il roccioso addetto stampa spiega senza mezzi termini che «se parlo io faccio crollare tutto».

Il soggetto, d'altronde, è fatto così. E non è un personaggio double face, un mister Hyde nascosto dietro la bonomia del dottor Jekill. I metodi di Pasquaretta erano noti a tutti, ciò nonostante la Appendino se lo è tenuto stretto fin quando ha potuto, e dopo di lei lo ha adottato il viceministro Laura Castelli. Dei metodi di Pasquaretta ha dato una testimonianza eloquente il presidente dell'Ascom, l'associazione dei commercianti torinesi Maria Luisa Coppa, ricordando lo scontro frontale con il portavoce della Appendino durante le trattative sulla chiusura domenicale dei pubblici esercizi. Di fronte alla difesa delle aperture da parte dei commercianti, Pasquaretta reagì minacciando di mandare la Guardia di finanza a controllare le dichiarazioni dei redditi «di tutti i ristoranti ed esercizi commerciali iscritti alla mia associazione», ha raccontato la Coppa.

Ora sulla resistibile ascesa di un personaggio simile è costretto a interrogarsi persino il M5s, che questa ascesa ha accudito e benedetto. Intanto, Chiara Appendino deve fare i conti con la nuova grana piombata sulla sua gestione del municipio torinese. Il sindaco pubblicamente ribadisce la fiducia nell'operato della magistratura ma con la sua cerchia ristretta non fa mistero di mal sopportare l'attenzione che la Procura della Repubblica riserva al suo operato: a partire dal guaio peggiore di tutti, l'imputazione di omicidio colposo per i fatti di piazza San Carlo, lo stampede durante la trasmissione della finale di Champions.

Dopo la morte anche di Marisa Amato, anche lei travolta dalla folla, se i medici legali confermeranno la causa del decesso, il sindaco è destinato a vedersi formulare una seconda accusa di omicidio colposo, e di ritrovarsi a processo nel giro di qualche mese.

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