«Ricordo i sorrisetti di chi diceva: non ce la farete mai a condurla in porto. E invece ce l'abbiamo fatta». Da Teheran, tra un vertice ufficiale e l'altro della sua missione in Iran, Matteo Renzi si gode un successo perseguito con ostinazione nei due anni di suo governo: la riforma costituzionale che abolisce il bicameralismo e taglia il numero dei parlamentari è legge, definitivamente licenziata ieri pomeriggio dalla Camera con 361 voti a favore e solo 7 contrari.
Come già era successo nelle ultime letture del ddl Boschi, infatti, le opposizioni hanno preferito abbandonare l'aula al momento del voto, lasciando deserti i propri banchi nell'emiciclo. E da Silvio Berlusconi, che annuncia battaglia per il No al referendum, arrivano parole dure: «La Costituzione andava migliorata tutti insieme, nessuno escluso». Invece Renzi, «premier mai andato a elezioni», con una maggioranza fatta anche di «transfughi del centrodestra», ha fatto «prevalere l'arroganza, consegnando al paese una riforma sbagliata e pericolosa».
Le opposizioni avevano minacciato ostruzionismo, tanto che nella conferenza dei capigruppo di lunedì era stata prevista una seduta fiume anche notturna. «Li terremo inchiodati qui fino all'ultimo», minacciavano i Cinque Stelle. «Può accadere di tutto» annunciava solenne Arturo Scotto di Sel. È accaduto che l'idea di fare le ore piccole in aula non sorrideva neppure ai più scatenati nemici della riforma, e quindi le armi ostruzionistiche son state riposte e alle sei di pomeriggio era tutto finito.
Renzi era assente, partito per l'Iran subito dopo l'intervento Montecitorio, e sul banco del governo c'era la titolare delle Riforme Maria Elena Boschi. «È un passaggio storico, e un trionfo della democrazia - dice il premier da Teheran -. Con la riforma ci saranno meno politici e una politica più seria». Nessuna polemica con le opposizioni: «Libere di esprimere i propri giudizi, e noi li rispettiamo. Ma chi sperava di bloccarci uscendo dall'aula si deve ricredere: dopo 30 anni di chiacchiere fare le riforme è una questione di serietà». Il premier ne approfitta per mandare un messaggio: «La politica ha saputo cambiare sé stessa. Spero che lo sappiano fare anche altri, dai sindacati ai dirigenti alla burocrazia». Non evoca i magistrati, ma è probabile che pensi anche a loro.
Ora si apre la lunga strada verso il referendum confermativo d'autunno. «La domanda sarà semplice: volete quel che c'è ora o volete cambiare? Credo che i cittadini sceglieranno di cambiare», dice Renzi. E chiosa: «Il no alla riforma sarebbe inspiegabile nel merito. Si spiega solo con l'odio personale verso di me». La minoranza Pd, che ieri - con un cavilloso comunicato in cui si spiegava perché - ha votato sì, ma ora mette paletti rispetto al referendum: «Se si tramuta in un plebiscito faremo le nostre scelte», dice Speranza. Le armi della fronda anti-renziana sono state però scaricate dall'annuncio fatto da Parigi da Enrico Letta: «Il testo non è perfetto, ma è comunque meglio di ciò che c'è oggi: al referendum confermativo io voterò sì». Una presa di posizione che rende assai più complicato per Bersani e compagni inventarsi una scusa che permetta loro di dissociarsi dalla riforma che loro stessi han votato. Del resto, lo stesso capogruppo Pd Ettore Rosato depotenzia la portata «plebiscitaria» del referendum: «Sarà un voto sul merito della riforma, e non sull'operato del governo».
Così la minoranza Pd ripiega sulla richiesta di modifica della legge elettorale, in particolare sui capilista bloccati (nei quali temono di non rientrare, visto che sarà Renzi a sceglierli). La Boschi non raccoglie: «godiamoci il successo, dopo 30 anni si fanno le riforme».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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