Roberto Fabbri
La tregua proclamata ormai diversi giorni fa dall'Onu in Siria non riesce a «ingranare». Ieri alle 9 del mattino scattava lo stop di cinque ore imposto dal presidente russo Vladimir Putin al suo alleato di Damasco Bashar Assad, ma di fatto ben poco è cambiato: le bombe siriane hanno continuato a cadere su Ghouta Est, anche se in quantità minore, e i varchi aperti per lasciar uscire i civili che volevano abbandonare il martoriato sobborgo di Damasco sono rimasti inutilizzati.
Gli inviati della televisione siriana che si erano presentati numerosi per documentare l'avvio del flusso dei profughi in uscita da Ghouta sono rimasti delusi. La spiegazione secondo russi e siriani è che i civili sono «ostaggi dei terroristi», ma bisogna considerare che è illogico aspettarsi che gli abitanti di Ghouta, bombardati e gasati da anni da Assad, abbiano voglia di uscirne per consegnarsi di fatto al proprio carnefice, che verosimilmente non li considererà ostaggi ma complici dei suoi nemici. Senza dimenticare che trasformare la tregua di un mese decisa all'Onu in uno spezzatino di cinque ore al giorno non significa altro che ricattare cinicamente la popolazione: approfittate di questa finestra temporale che generosamente vi concediamo, oppure preparatevi a subire il peggio nelle restanti diciannove ore della giornata.
Fonti russe hanno pure attribuito la rottura della tregua ai ribelli annidati a Ghouta Est. Il futuro della tregua umanitaria - ha detto il portavoce di Putin Dmitry Peskov - «dipende dal modo di comportarsi dei gruppi terroristi, dalle loro provocazioni, se continuano a sparare». Peskov ha accusato gli occidentali di «ignorare il disordine provocato dai terroristi che si proteggono tenendo in ostaggio la popolazione civile», e ha garantito che la Russia «continuerà il lavoro in vista della messa in atto della risoluzione» del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Non si placa intanto la polemica provocata dalla denuncia fatta da attivisti e medici sull'uso di gas negli ordigni lanciati su Ghouta Est. Il New York Times ha diffuso ieri i contenuti di un dossier riservato delle Nazioni Unite nel quale si sostiene l'esistenza di una inquietante collaborazione in tema di armi chimiche tra la Corea del Nord e il regime di Assad.
Tra il 2012 e il 2017 ci sarebbero state 40 spedizioni da Pyongyang di parti di missili balistici proibiti e materiali utilizzabili sia per scopi civili sia militari. Inoltre secondo il rapporto tecnici nordcoreani sono stati visti in Siria in strutture note per essere luoghi di produzione di armi chimiche e di missili.
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