"Armi per colpire la Russia". Perché l'ok di Stoltenberg può scatenare un'escalation

Quella del segretario Nato sembra una dichiarazione di guerra a Mosca. Decisivo il vertice del 9-11 luglio

"Armi per colpire la Russia". Perché l'ok di Stoltenberg  può scatenare un'escalation
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Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, vuole il via libera all'utilizzo delle armi occidentali consegnate agli ucraini per colpire il territorio russo in profondità. «Negare all'Ucraina la possibilità di usare queste armi contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo rende molto difficile per loro difendersi» ha dichiarato in un'intervista all'Economist. Se volevamo convincere definitivamente Mosca che di fatto siamo in guerra, abbiamo fatto centro. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è stato il primo a mettere la mani avanti sottolineando che le decisioni Nato devono essere collegiali.

Il rischio degli inviti da prima pagina di Stoltenberg è che preparino il terreno a un intervento più ampio e diretto di Paesi Nato, anche se non sotto il cappello all'Alleanza atlantica. In realtà gli ucraini già colpiscono in territorio russo in maniera continuativa dallo scorso autunno, quando è fallita la controffensiva. Soprattutto con droni fatti in casa, infiltrazioni di volontari russi anti Putin oltre a quinte colonne annidate dietro le linee. E hanno già centrato obiettivi in Crimea, considerata dal Cremlino territorio della Federazione, con i missili Himars forniti dagli americani, anche se i russi sono riusciti a renderli meno efficaci grazie alla guerra elettronica. Lo stesso Stoltenberg, in una successiva intervista, ha gettato acqua sul fuoco ribadendo che «non ci sono piani per inviare truppe in Ucraina» e «la Nato non entrerà a far parte del conflitto». L'amministrazione Biden all'inizio aveva posto il veto sull'uso delle armi oltre confine, ma adesso che gli ucraini sono sulla difensiva fa comodo se colpiscono dentro la Russia. Il conflitto si combatte nel cuore dell'Europa e non alle porte di New York o in California.

I nodi verranno al pettine al vertice della Nato dal 9 all'11 luglio a Washington. Secondo previsioni di intelligence i russi potrebbero mettere con le spalle al muro gli ucraini in agosto, almeno nel Donbass. Non a caso il premier ungherese, Viktor Orbán, si sta già chiamando fuori paventando l'intervento sul campo di una parte dell'Europa. I piani esistono e pure gli annunci, se la situazione al fronte precipitasse del tutto. In prima fila ci sono i baltici. Ingrida Simonyte, primo ministro della Lituania ha confermato che è pronta ad inviare truppe in Ucraina per esercitazioni e addestramento. Fin dai tempi della guerra in Vietnam, il passo successivo verso il fronte è breve. Anche il primo ministro della Lettonia, Evika Silina, ha aderito alla proposta. «Ci sono vie di mezzo tra non fare nulla e combattere» ha aggiunto il comandante dell'esercito estone, generale Martin Herem.

Più cauti, ma con un peso ben maggiore, polacchi e finlandesi. Il ministro degli Esteri polacco, Radosaw Sikorski, non vuole rivelare i piani, ma non esclude gli «scarponi sul terreno». Stesso discorso per i finlandesi, che assieme ai baltici studiano di intervenire in Ucraina non come Nato, ma con una «coalizione di volenterosi», formula già sperimentata per l'invasione dell'Irak. Dietro le quinte gli inglesi si sentono già, in una «situazione di pre guerra», come ha confermato il capo di stato maggiore, Patrick Sanders.

E l'ultima fuga in avanti del presidente Emmanuel Macron, sull'invio di truppe, nasconde un appiglio strategico: la Francia è l'unico paese Ue che garantisce una deterrenza nucleare europea. Soprattutto se a novembre vincesse Trump, che ha minacciato di togliere l'ombrello atomico agli alleati se non pagano il conto della Nato e dichiarato di essere pronto a chiudere il conflitto ucraino in 24 ore.

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