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Arriva la censura dei librai faziosi: non lo vendiamo Il solito bavaglio della sinistra

Il primo caso a Roma: "Non alimento questa editoria". Soltanto nelle dittature si boicottano i testi sgraditi

Arriva la censura dei librai faziosi: non lo vendiamo Il solito bavaglio della sinistra

Il libro di Giorgia Meloni non è ancora uscito nelle librerie e già c'è chi, giocando d'anticipo nei proclami censori, ha annunciato non lo venderà nella propria libreria per non «alimentare questo tipo di editoria». È il caso di Alessandra Laterza, libraia romana nel quartiere di Tor Bella Monaca, più nota per la sua attività politica nel Pd che per il proprio contributo al panorama letterario o culturale italiano (nel 2016 si è candidata al consiglio del Municipio VI di Roma, mentre nel 2018 ha ospitato nella sua libreria la prima riunione della segreteria Pd di Maurizio Martina).

La Laterza, che ha giustificato la propria scelta con una raffinata e profonda spiegazione «so scelte, mejo pane e cipolla», non è nuova ad episodi di censura verso i libri di esponenti di destra «anche quelli non li ho venduti, in passato».

A chi la accusa di censura, risponde affermando che la sua è «una scelta editoriale» e precisa «come un negozio di scarpe, dove la proprietà sceglie che modelli e che marchi proporre alla propria clientela».

Peccato che non sia la stessa cosa; mentre da un lato si erge a paladina dell'editoria indipendente, dall'altro tratta i libri come se fossero un prodotto qualsiasi, senza comprendere il reale significato di impedire la vendita di un libro.

Si dirà: ognuno nella propria libreria espone i libri che vuole, senza dubbio, però non parliamo di cultura ma di scelte politiche e ideologiche. La cultura è infatti confronto, dialogo, scambio di idee anche con chi la pensa diversamente, la cultura è l'opposto della censura, è difesa della libertà di parola e di espressione. Checché ne dica la libraia romana, rifiutarsi di vendere un libro significa compiere un gesto di carattere censorio, non caso nelle dittature si bruciano i libri e si impedisce la loro circolazione sopprimendo il confronto culturale.

Eppure il suo gesto non può essere derubricato a un singolo episodio; già in passato erano avvenuti casi analoghi nei confronti di autori di destra ed è sintomatico della mentalità di una certa sinistra che si sente detentrice di tutta la cultura (in un suo post di qualche settimana fa, la Laterza si chiedeva: «conoscete delle librerie indipendenti di persone di destra? Già neanche io»).

In questa vicenda inoltre è impossibile non cogliere un intento pubblicitario, non a caso la notizia è diventata ben presto virale ed è stata ripresa da alcuni influencer che l'hanno definita un «piccolo, grande, atto di resistenza». Anche altri librai indipendenti hanno condiviso il post in cui si annunciava il boicottaggio ma non sono mancate le critiche da parte di chi, pur avendo idee politiche diverse dalla Meloni, comprende la necessità di difendere non tanto i contenuti del libro in sé, che possono più o meno piacere, quanto il principio della libertà di stampa. Proviamo per un attimo a immaginare cosa sarebbe accaduto a parti inverse se un libraio si fosse rifiutato di vendere il libro di un politico di sinistra, ci sarebbe stato il finimondo.

Chi davvero svolge un atto di resistenza quotidiana sono i librai (per fortuna esistono) che svolgono il proprio lavoro senza paraocchi ideologici, rispondendo alle esigenze dei propri clienti e compiendo un'attività culturale a sostegno di ogni libro, sia scritto da autori di destra, sinistra o centro.

Altrimenti il rischio è che ci sia qualcun altro a vendere i testi che alcuni si rifiutano di esporre, poi però non lamentiamoci se Amazon si arricchisce e le librerie chiudono.

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