Alla fine Obama vince sui modi appropriati di chi sta a casa propria e parla dal salotto. Lui ha la cravatta azzurra dei democratici e Trump, molto emozionato, quella rossa dei repubblicani. I due ex nemici, anzi arci-nemici, che ora siedono sotto il ritratto di George Washington, un microfono pendente dalla sua gru, compassati e formali ciascuno nel suo ruolo. Poi è Obama che dà il via alle danze per la stampa: «Be', allora, ci siamo. E allora, forza, cominciamo». Si aprono le cataratte dei clic elettronici e poi parte per primo Obama che parla col suo stile casuale ed elegante, senza testo scritto. Lo stesso farà Trump.
Per tutti i nostalgici della guerra armata fra democratici e repubblicani, questo incontro è quello del calumet della pace dopo aver sotterrato l'ascia di guerra. Per gli americani è un grande evento emotivo che conferma a ciascuno di appartenere allo stesso popolo, per chi non è americano è solo una curiosità che rinforza l'idea idiota che gli americani siano ridicoli. Quel che si vedeva a video aperto, era la commozione di due uomini che si stanno per dare il cambio. E che gioiscono e soffrono. Trump chiama Obama mister President dopo averlo apertamente accusato di aver truccato le sue origini africane e Obama parla dell'Elected President che è una specie di papa del futuro, un Ratzinger alla rovescia. Su di loro, il sentimento unitario di un grande popolo totalmente diverso dai nostri europei, con la parziale eccezione di quelli del Regno Unito. Fanno pace i due Presidenti, perché prima di tutto viene il futuro dell'America e di our children, i nostri figli e nipoti per i quali lavoriamo.
Retorica? Solo per chi non ha provato il brivido profondo di sentirsi americano sotto quelle bandiere. I sentimenti americani risalgono per le vene e i pori della pelle a un'epoca settecentesca e illuminista, anche se sono di recente immigrazione. Il mio autista Uber, che a undici anni fu portato a Miami da Haiti, non ha cessato di ripetermi quando era grato per trovarsi in questo grande Paese. Noi italiani fingiamo di essere superiori quando loro si portano la mano al cuore quando si canta l'inno, ma noi italiani siamo cinici, crediamo di sapere tutto ciò che tremila anni di storia e di divisione non ci hanno insegnato. L'unità della nazione nella diversità accapigliata, l'elogio della prevalenza dell'unità della nazione sulla divisione politica. Donald Trump è stato più che all'altezza, dall'espressione rispettosa ma non compunta (in fondo è lui il vincitore), ai cenni del mento. Quando è toccato a lui parlare ha detto qualcosa che ci ha colpito: «In quest'ora e mezzo ho imparato molto dal presidente Obama».
Che cosa può avere imparato che non sapeva? Fantasia di cronista: forse lo stato reale e attuale dei rapporti con la Russia. Non dimentichiamo che il presidente Putin ha recentemente alluso allo stato di maggior pericolo di guerra se avesse vinto la Clinton, mentre la posizione di Trump è stata spesso criticata perché troppo filo-russa. Forse sapremo che cosa ha confidato Obama a Trump, o forse non lo sapremo mai. Ma fra i due è certamente scattato un feeling che va al di là delle eccezionali benché formali circostanze, e questo anche se la tradizionale foto dei due presidenti con le first ladies stavolta non c'è stata. Abbiamo visto il grande aereo nero che è decollato da New York scortato dai caccia del servizio segreto, abbiamo visto l'americanissima motorcade, il corteo delle macchine con cui si muovono i presidenti (finestrini oscurati, mistero su quella principale), la scia dei cronisti inutilmente agitati e frustrati, il sole caldo dell'«estate indiana» (la nostra estate di san Martino) e infine la dichiarazione più importante e pesante di Donald Trump davanti ai microfoni: «Io ho per lei, Mr. President, il più grande rispetto».
«Rispetto» è la parola chiave.
Dio sa quanto queste parole fossero stravaganti, visto ciò che si è detto nel corso della campagna, ma le forme qui sono sostanza e non viceversa, come invece accade da noi: «Io le esprimo il mio rispetto e farò tesoro dei suoi consigli» è stata davvero una grande concessione di rispetto nei confronti di un uomo contro cui ha combattuto, ma che è prima di tutto il Presidente degli Stati Uniti d'America.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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